Attualità

SENTENZA. Matrimonio-unioni gay: nessuna equiparazione

  mercoledì 14 aprile 2010
Le unioni omosessuali "non possono essere ritenute omogenee al matrimonio" ma a due persone dello stesso sesso che convivono stabilmente "spetta il diritto di vivere liberamente una condizione di coppia ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri". Individuare le forme di garanzia e riconoscimento per questo tipo di unioni è però compito esclusivo del Parlamento "nell'esercizio della sua piena discrezionalità". La Corte Costituzionale ribadisce che la diversità tra i sessi è alla base del matrimonio ma indica la strada perchè anche per le coppie omosex si possa arrivare a una legge che le tuteli. E' scritto nelle motivazioni della sentenza n. 138 che ha rigettato i ricorsi dei gay di Venezia e a Trento ai quali l'ufficiale  giudiziario aveva impedito di procedere alle pubblicazioni di matrimonio. "I concetti di famiglia e di matrimonio - scrive il giudice Alessandro Criscuolo, che ha stilato la motivazione - non si possono ritenere cristallizzati all' epoca in cui la Costituzionè entro in vigore perchè sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell' ordinamento ma anche dell' evoluzione della società e dei costumi". Ma l'interpretazione "non può però spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata". I costituenti non affrontarono la questione e "tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942 che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso". La previsione del codice civile, che contempla il matrimonio solo tra uomo e donna, non può, dunque, considerarsi illegittima sul piano costituzionale", anche perchè - sottolinea la Consulta - "non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possonoessere ritenute omogenee al matrimonio". I giudici costituzionali non hanno considerato pertinente la tesi - sostenuta nei ricorsi - della disparità di trattamento tra omosessuali e chi ha compiuto il cambiamento di sesso, che invece può unirsi in matrimonio con una persona del suo sesso originario: "Il riconoscimento del diritto a sposarsi a coloro che hanno cambiato sesso, costituisce semmai un argomento per confermare il carattere eterosessuale del matrimonio".L'intera disciplina dell'istituto del matrimonio contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale "postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio", si ribadisce nella sentenza.  Riferendosi all' art. 2 della Costituzione sui diritti inviolabili dell' uomo, la Consulta afferma che anche l'unione omosessuale va annoverata tra le formazioni sociali finalizzate "a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico". Ma alle coppie gay  fa notare che "si deve escludere, tuttavia, che l' aspirazione al riconoscimento giuridico - che necessariamente postula unadisciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia - possa essere realizzata soltanto attraverso l' equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio". Solo al Parlamento, quindi, spetta l' interventi su questo terreno delicato. La Corte si riserva "la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio). Può accadere infatti che in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza".