Attualità

Il monito. «Con la ’ndrangheta religiosità capovolta»

Andrea Gualtieri venerdì 18 luglio 2014
In Calabria ci saranno «criteri pastorali comuni» che guideranno le dodici diocesi verso uno «stile di testimonianza cristiana» che contrasti le infiltrazioni della ’ndrangheta nei riti sacri. Lo ha deciso la Conferenza episcopale calabra, che si è riunita ieri nel santuario di Paola (Cosenza), in una seduta straordinaria convocata dal presidente, monsignor Salvatore Nunnari, dopo la scomunica per i mafiosi pronunciata da papa Francesco a Cassano e i presunti "omaggi" ai boss denunciati durante alcune processioni.Proprio partendo dagli episodi che, come dichiarano i vescovi, «hanno creato un diffuso generale sgomento», il documento finale della riunione, alla quale hanno partecipato tutti i componenti della Conferenza episcopale regionale, ribadisce che la ’ndrangheta è «negazione del Vangelo: non è solo un’organizzazione criminale che come tante altre vuole realizzare i propri illeciti affari, con mezzi altrettanto illeciti, ma attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi è una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea». Ritorna nel testo l’espressione utilizzata in una lettera del 1975 nella quale la mafia viene definita «disonorante piaga della società». Ma rispetto ad allora si fa un passo avanti. Dal momento che «la questione mafiosa ha assunto nuovi riflessi», i presuli sono convinti «dell’urgenza di un intervento ancora più chiaro e deciso».Ed è per questo che si è condivisa la necessità di una "nota pastorale" per la quale sono state stabilite le linee progettuali da approfondire nei prossimi mesi. Si tratta di un testo che fornirà «indicazioni concrete che accompagnino scelte e prassi pastorali» per evitare le incrostazioni mafiose: «Sono indispensabili – è scritto nel documento finale della riunione – regolamenti più incisivi che prevedano preparazione remota e prossima ai gesti che si compiranno, soprattutto prevedano una formazione cristiana vera e permanente». In particolare, per i riti legati alla religiosità popolare, indicata come «un tesoro da custodire e valorizzare», si tratta di applicare «con tenacia, fin dal primo momento dell’adesione di fedeli a confraternite e organizzazioni di processioni popolari», gli «opportuni antidoti alle infiltrazioni criminali» già sperimentati dalle singole diocesi. Sarà poi il vescovo locale con i suoi organismi collegiali a valutare i singoli fatti, proprio sulla base dei «criteri pastorali comuni» che la Conferenza episcopale calabra stabilirà nella nota.«L’orologio della storia – scrivono i pastori – segna l’ora in cui, per la Chiesa, non è più solo questione di parlare di Cristo, quanto piuttosto di essere testimoni credibili di Cristo». In questo senso, tra l’altro, l’atteggiamento pastorale nei confronti dei mafiosi va «collocato nel quadro di quanto papa Francesco ha affermato nel corso della visita ai detenuti di Castrovillari». In quell’occasione il Pontefice ha chiesto alle istituzioni un impegno in vista di un «effettivo reinserimento nella società». E sulla base di ciò i vescovi calabresi affermano ora che per gli uomini di ’ndrangheta, «come per qualsiasi peccatore», la Chiesa deve «svolgere la sua opera di accompagnamento verso la conversione».