Attualità

INTERVISTA. «Colpire i piromani nel portafoglio per fermare i roghi»

Davide Parozzi sabato 10 agosto 2013
Dopo i due giorni d’inferno, 48 ore ininterrotte di incendi che hanno mandato in cenere nel Centrosud della Sardegna almeno 8.000 ettari di vegetazione e costretto all’evacuazione un migliaio di persone, la morsa del fuoco sembra aver allentato la presa sull’Isola. E mentre proseguono le operazioni di bonifica e negli interventi per domare i vari incendi, si infiamma la polemica sui ritardi e sulla mancanza dei mezzi aerei per fronteggiare un’emergenza che oltre a mettere in ginocchio la Sardegna, sta mandando in crisi la macchina della Protezione Civile nazionale. Sul banco degli imputati ci sono gli investimenti del Governo per l’acquisto degli F35. Giovedì, in piena emergenza, i parlamentari sardi avevano chiesto perché il denaro utilizzato per la flotta militare non venisse dirottato sui Canadair. Immediata la risposta del ministro della Difesa Mario Mauro, in visita in Sardegna alla Brigata Sassari: «Gli F35 vengono acquistati perché 254 aerei dell’Aeronautica vanno in pensione». La risposta non è andata giù al presidente della Regione, Ugo Cappellacci, che ricordando il ruolo strategico riconosciuto alla Sardegna dal ministro della Difesa si chiede come mai «non abbia la stessa sensibilità quando sono in gioco la vita delle persone e si tratta di difendere una terra dalla piaga criminale ed assassina degli incendi». Il governatore ha poi sottolineato come negli ultimi giorni si sia dovuto operare in una sorta di roulette russa. «C’erano 21 richieste di intervento - ha argomentato - e la Protezione civile ha dovuto decidere quali territori sacrificare». «E ora chi provoca dovrà pagare i danni. E i conti saranno salati». Marco Di Fonzo è il commissario capo del Niab, il nucleo investigativo incendi boschivi del corpo forestale dello stato. È suo compito scoprire chi appicca - per incuria o per dolo - gli incendi che devastano ampie zone dell’Italia. Un incarico che lui e i suoi uomini svolgono bene se l’anno passato sono stati 600 i piromani denunciati (per 13 sono scattate le manette) e la Fao ha deciso di affidare al Cfs il compito di addestrare i parigrado dei Paesi del nord Africa. Dottor Di Fonzo, la prevenzione passa anche per l’assalto al portafoglio dei piromani? Diciamo che questa è una pena aggiuntiva prevista dalla legge. Già negli anni passati noi chiedevamo anche il risarcimento dei danni, ma da quest’anno il dipartimento ha deciso di procedere in maniera sistematica. Chiunque verrà scoperto ad appiccare fuoco pagherà non solo il danno ambientale ma anche quello erariale. E conti potranno essere salati?È facile fare i calcoli: ogni ettaro di bosco che va in fumo ha un valore minimo di 5mila euro. Che può lievitare anche di molto. A questo si aggiungano i costi degli spegnimenti: vigili del fuoco e gli addetti del corpo forestale dello stato. Se poi intervengono anche i mezzi aerei i costi decollano nel vero senso della parola. Basti pensare che l’impiego di un Canadair può arrivare a costare fino a 20mila euro al giorno, mentre quello di un elicottero attrezzato supera i 15mila. Tutte voci che concorreranno a formare un totale che verrà addebitato a chi scatena le fiamme. Ma in Italia sono molti i piromani? Occorre chiarire cosa si intenda per piromani. I malati, quelli che “devono” vedere le fiamme, sono solo il 10% di quanti appiccano gli incendi. Negli altri casi si tratta di persone che agiscono o per incuria o per dolo. Divise esattamente a metà. L’anno scorso abbiamo denunciato 600 incendiari e 13 ne abbiamo arrestati. Le motivazioni sono le più disparate. Liti, questioni di pascolo, screzi tra vicini. C’è anche stato chi ha appiccato il fuoco per cogliere, l’anno successivo gli asparagi selvatici. So che sembra impossibile ma è così. Poi naturalmente chi vuole speculare. Certo. Ma la legge 353 del 2000 che ha imposto alcuni vincoli sui terreni bruciati ha fatto calare di molto gli incendiari con velleità edilizie. E i piromani involontari?Ci sono anche loro. E anche in questo caso ci sono i motivi più vari. Da chi perde il controllo di un fuoco appiccato per fare fuori i rifiuti o i resti dello sfalcio, a chi intende disfarsi dei resti delle coltivazioni. Qui lo stato potrebbe intervenire facendo conoscere le possibilità di utilizzare le biomasse per dare via a meccanismi virtuosi di produzione di energia. Tra l’altro anche con contributi economici. Ma quello che è importante è la formazione. Una volta di più bisognerebbe educare. Sì, è una questione di senso civico. Dobbiamo fare capire che certi comportamenti non devono essere tenuti. L’incendio boschivo è un crimine contro le generazioni future. Prima riusciremo a farlo comprendere meglio sarà per la salute dei nostri polmoni verdi.