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Messaggio. I vescovi delle diocesi del Lazio: «Chi è straniero è come noi»

Antonio Maria Mira venerdì 7 giugno 2019

Serve una lotta condivisa alla povertà, attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società

Messaggio dei Vescovi delle diocesi del Lazio: l’altro è un dono, non lasciamo che ci sovrasti la paura Serve una lotta condivisa alla povertà, attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società

Italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. Ogni povero - da qualunque paese, cultura, etnia provenga - è un figlio di Dio. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un 'prima' o di un 'dopo' sulla base dell’appartenenza nazionale ». Lo scrivono i Vescovi delle Diocesi del Lazio in un messaggio che sarà consegnato domenica in tutte le parrocchie della Regione «in occasione – si legge nel documento – della solennità di Pentecoste che ci mostra l’icona dell’annunzio a Gerusalemme ascoltato in molte lingue».

E il messaggio è un annuncio molto chiaro, a fianco di tutti i poveri ai quali «va l’attenzione del cuore dei credenti e dell’opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali». E questo perché, denunciano i Vescovi, «da certe affermazioni che appaiono essere 'di moda' potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero – ribadiscono – è come noi, è un altro 'noi': l’altro è un dono». Un intervento non politico (né tanto meno partitico) come viene fatto intendere. «È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù – sottolinea, infatti, il documento –: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza».

Così i Vescovi invitano i fedeli «a proseguire il cammino di comunità credenti, sia con la preghiera che con atteggiamenti di servizio nella testimonianza di una virtù che ha sempre caratterizzato il nostro Paese: l’accoglienza verso l’altro, soprattutto quando si trovi nel bisogno». Per «vivere così la sfida dell’integrazione che l’ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore: non lasciamo che ci sovrasti una 'paura che fa impazzire' come ha detto Papa Francesco, una paura che non coglie la realtà». E qui il messaggio tocca il delicato tema della sicurezza, invitando a riconoscere «che il male che attenta alla nostra sicurezza proviene di fatto da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere».

Un evidente risposta a chi vede nell’immigrato il responsabile dell’insicurezza. I Vescovi ricordano quanto le Diocesi fanno «quotidianamente» per «alleviare le situazioni dei poveri che bussano alla nostra porta. Tanto è stato fatto e tanto ancora desideriamo fare, affinché l’accoglienza sia davvero la risposta ad una situazione complessa e non una soluzione di comodo (o peggio interessata) ». Ma serve anche che «tutte le nostre comunità possano promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e - soprattutto - originati dalla Parola evangelica».

Nuovamente la sottolineatura del Vangelo. I Vescovi non nascondono «la presenza di molte problematiche legate al tema dell’accoglienza dei migranti», ma anche di «alcune istituzioni che pensavamo si occupassero di accoglienza » e «invece non hanno dato la testimonianza che ci si poteva aspettare». E qui il messaggio, pur non citandolo, fa un evidente riferimento al Decreto sicurezza, lanciando un preciso allarme. «Desideriamo ricordare che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell’aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale».

Di fronte a questa situazione i Vescovi del Lazio rivolgono, infine, «un appello accorato affinché nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto, ma si affermi una cultura 'nuova' fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà».