Attualità

INCHIESTA. Centri storici, i due volti della Sicilia

Paolo Viana sabato 30 gennaio 2010
Da centocinquant’anni li divide il Caos, la collina su cui nacque Pirandello. Così vicina a Porto Empedocle, da dove i genitori del drammaturgo si erano trasferiti per fuggire il colera, ma in territorio di Agrigento. Tanto basta perché nella città costiera, con un’esibizione tutta siciliana di nostalgia, si parli ancora di «scippo del destino» e ci si consoli letterariamente con Andrea Camilleri. Montalbano ti aspetta di fronte al Municipio di Porto Empedocle, in bronzo e a grandezza naturale, anche se le fattezze sono quelle di Pietro Germi, che interpretò il commissario Ingravallo del "pasticciaccio" di Gadda: filologia alla mano, qui ti spiegano che è lui ad aver ispirato Camilleri ma vien da chiedersi se la giunta di centrodestra avrebbe mai dedicato la statua al "comunista" Zingaretti... Unite e divise dal Caos, Porto Empedocle e Agrigento sono sempre state lo specchio di due Sicilie: la marina fervente dei commerci e la «cittaduzza moribonda», come Pirandello, impietoso, ribattezzò il capoluogo. Dopo la tragedia di Favara, nelle due città si rispecchiano altrettanti modi di amministrare la cosa pubblica; la «marina» ha completato un piano di demolizioni e ricostruzioni che ne ha cambiato il volto e ora sta riqualificando il tessuto urbano a colpi di investimenti milionari; la «cittaduzza» assiste impotente al disastro del proprio centro storico, assediato dalle frane e dall’incuria, ha le casse vuote ed è ferma ai progetti non finanziati. Due governi all’apparenza gemelli - sindaci quarantenni eletti da liste civiche, l’udc di osservanza cuffariana Calogero Firetto a Porto Empedocle e Marco Zambuto, ex udc oggi vicino al ministro Alfano, ad Agrigento – affrontano su scala diversa (18.000 abitanti contro 60.000) gli stessi mali antichi: un sottosuolo fragile e un’edilizia residenziale saccheggiata da abusivismo e latitanza amministrativa. Sulla costa, però, i risultati si vedono mentre nel capoluogo tutto sembra immobile.Costruito su una rete di ipogei che complicano il cronico dissesto, il centro dell’antica Akragas è assediato da una serie di frane che Comune, Regione e Protezione civile tentano da anni di arrestare. Nel 1966, un gigantesco smottamento sconquassò il quartiere dell’Addolorata. Da allora nessuna soluzione, neppure quella della via di fuga: la cittadella è attraversata da una sola strada, strettissima, e per smuovere le acque l’Arcivescovo ha dovuto minacciare, dopo il disastro di Giampilieri, che non avrebbe celebrato «il prossimo funerale annunciato». Promessa mantenuta a Favara, dove si è seduto a fianco dei genitori durante le esequie delle sorelline. Era la protesta di un siciliano con i siciliani, contro l’immobilismo di questa terra, e ha fatto letteralmente saltare i nervi alla classe politica. Per primo a Zambuto, che ha chiamato a correo l’arcidiocesi, sostenendo di aver «rischiato il dissesto di bilancio pur di dare priorità alla messa in sicurezza» delle chiese. È bastato dare un’occhiata ai conti per rendersi conto che l’amministrazione comunale non rischia proprio nulla: un dossier dell’arcidiocesi rivela che finora sono stati investiti per la messa in sicurezza solo 235.000 euro e che le emergenze delle chiese sono state affrontate «senza alcun intervento del Comune di Agrigento». Seguono due pagine di lavori segnalati da anni dalla Curia alle amministrazioni dell’Agrigentino. Quasi tutti «prioritari e urgenti». Certo, l’agitazione degli amministratori ha le sue ragioni – la finanza locale è esangue, la legge sul recupero dei centri storici è bloccata e lo Iacp, lo stesso degli alloggi mai assegnati a Favara, non costruisce nulla da dieci anni ed è commissariato – eppure al di là del Caos c’è chi riesce ad arrivare prima dei crolli. Anche Porto Empedocle, come Agrigento, ha avuto il suo disastro: un’alluvione nel 1971 ha spazzato via tre quarti di centro storico. «Restarono in piedi poche casette di pescatori – ci racconta Firetto –, suggestive e friabili: le abbiamo abbattute, assegnando ai proprietari nuovi alloggi popolari». Non che sia stato semplice: per demolire un edificio antico bisogna rintracciare gli eredi (a decine) e quando ricostruisci è saggio, ti spiega Firetto, «invitare la squadra mobile in commissione appalti». Ma resta ordinaria amministrazione: «il problema vero è programmare gli interventi». Agrigento lo sta facendo da anni senza risultati apprezzabili. Il «piano strategico» per il recupero del centro cittadino non ha ancora partorito un progetto. Le ambizioni sono sfrenate: trasformare la collina di casette fatiscenti e palazzi puntellati in una cittadella della cultura spendibile nei pacchetti turistici della valle dei templi. Nel frattempo, però, «abbiamo sette palazzi storici a rischio crollo – ammette l’assessore ai lavori pubblici Renato Buscaglia – anche se stiamo completando gli interventi per la messa in sicurezza». Per fortuna Buscaglia ha il dono della concretezza: «senza i contributi a fondo perduto della Regione non si riuscirà a fare nulla; nessun privato investirà mai cinquantamila euro per restaurare un immobile che ne vale ventimila». L’amministrazione sogna di risolvere il problema con una trentina di alloggi nuovi, da realizzare con i privati e da affittare a canone sostenibile. Enzo Camilleri, l’avvocato che coordina il tavolo comunale, scommette che tra due mesi il progetto sarà pronto e allora si potrà bussare autorevolmente alla porta di Lombardo: «Ci sono sette miliardi tra fondo di sviluppo regionale e fondi europei» assicura.Anche Firetto pensa in grande: nuove banchine per le navi da crociera, un dissalatore, il museo del mare, tutto finanziato con i contributi che l’Enel verserà per realizzare il nuovo rigassificatore. Non ha ancora un euro in tasca, ma tutti lo trattano come se avesse già incassato i milioni pattuiti con la società elettrica, una ventina una tantum e royalties da 2,5 all’anno. Un’alleanza che pesa anche in Regione, dove la «marina» gode di maggior ascolto della «cittaduzza». L’anno scorso Firetto ha inaugurato il taglio delle acque, un sistema di gallerie e paratie sotterranee contro il dissesto idrogeologico, interamente finanziato dalla Giunta Lombardo. Costo: 2,5 milioni. Intanto, laggiù oltre il Caos, Agrigento frana.