Attualità

Censis. Covid: quasi 8 su dieci a favore della stretta per le feste

Alessia Guerrieri venerdì 4 dicembre 2020

Il virus ha solo squarciato il velo. Sotto le cronicità dell’Italia, a partire dalle enormi diseguaglianze (non solo nord-sud), dalle carenze storiche della sanità, della scuola, del lavoro. E così gli italiani nel 2020, l’anno della «paura nera», hanno avuto il «coraggio e la forza» di rinunciare alle libertà acquisite, delegando ad una ente superiore – lo Stato – la responsabilità di uscire dalla crisi, un salvagente a cui aggrapparsi. Un’ancora di salvezza che però adesso, visto che il «vitalismo italico» che ha caratterizzato la nostra società negli ultimi anni non basterà più, dovrà cimentarsi in «un nuovo progetto collettivo», in nuove azioni che abbiano una visione chiara di futuro.

Il 54esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, per la prima volta in streaming a causa del Covid-19, delinea un’Italia impaurita per la pandemia, spaventata dai risvolti futuri sull’occupazione e la crescita del Paese. Ma anche un’Italia consapevole che le restrizioni imposte anche durante le feste, sono necessarie e forse ne servirebbero di più severe (80%), chiede maggiore severità per chi non le rispetta, come il carcere. Sanno tutti che sarà un Natale di regole rigide e per il 61% anche un Capodanno triste, ma è una mediina amara e obbligata. Accanto la questa consapevolezza riscoperta delle regola, gli italiani però chiedono anche a fine di quella netta linea – ancor più calcata in questi mesi – tra i garantiti e non, tra chi ha lavoro (fisso) e non, tra chi è vulnerabile insomma e non.

Il sistema-Italia perciò si riscopre come «una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti». Mai lo si era visto così bene come durante quest'anno eccezionale, sotto i colpi dell'epidemia. Anche se, come rileva il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, la pandemia è stata solo «un acceleratore di fenomeni preesistenti», con gli italiani tra cui ha prevalso la logica del «meglio sudditi che morti». Anche grazie ad una comunicazione che «ha amplificato tutto» aiutata da poco chiare (e spesso contraddittorie) analisi epidemiologiche.

Il virus perciò ha colpito «una società già stanca», anche se quest'anno però siamo stati «incapaci di visione» e «il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un'alta via», si legge ancora nel rapporto. Così, nell’anno della paura nera, l’Italia si è riscoperta «spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza». Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. A fronte di questo lo Stato diventa «il salvagente a cui aggrapparsi nel momento del massimo pericolo». Inoltre il 57,8% dei cittadini è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della salute collettive e ancora di più sono coloro che chiedono pene severe per chi non rispetta le regole anti-contagio. Nel crollo verticale del «Pil della socialità», tuttavia, emerge anche un dato drammatico: un giovane su due (49,3%) ritiene giusto che i suoi coetanei siano curati prima degli anziani. E «tra antichi risentimenti e nuove inquietudini» persino la pena di morte – sottolinea con sorpresa il Censis – torna «nella sfera del praticabile», raccogliendo il 43,7% dei consensi.

Inoltre, il 90,2% degli italiani è convinto che l'emergenza coronavirus e il lockdown hanno danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando le disuguaglianze sociali già esistenti. Se da un lato, da marzo a settembre 2020 ci sono 582.485 individui in più che vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza (+22,8%), dall'altro 1.496.000 individui (il 3% degli adulti) hanno una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): di questi, 40 sono miliardari e sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell'epidemia.

«Serve un nuovo coraggio dello Stato – commenta il segretario generale del Censis Giorgio De Rita – non tanto per rassicurare l’oggi con interventi spot e bonus che servono a calmierare la paura e la rabbia sociale, ma per ridisegnare il futuro». Una società in cui gli italiani riescano finalmente a riconoscersi, mettendo quindi mano «ai problemi strutturali come scuola, sanità e territorio». Con particolare attenzione al meccanismo delle entrate «ripensando il sistema fiscale», gli «incentivi alle imprese», le questioni territoriali con un Meridione che «non può essere salvato con interventi come la Cassa per il Mezzogiorno» e un Settentrione «che ha bisogno di un ricambio generazione nelle grandi imprese e di un ritorno delle aziende che in questi anni hanno de localizzato all’estero».

Secondo il Censis, poi, l'esperimento della didattica a distanza durante la pandemia sembra non aver funzionato adeguatamente. Per il 74,8% dei dirigenti, infatti, la didattica a distanza ha di fatto ampliato il gap di apprendimento tra gli studenti anche se il 95,9% è molto o abbastanza d'accordo sul fatto che la Dad è stata una sperimentazione utile per l'insegnamento. In un quadro del genere, aggiunge poi il presidente del Cnel Tiziano Treu, «serve una consapevole e trasparente azione della mano pubblica, serve la capacità dei corpi intermedi attuare una vera progettazione collettiva che di fronte alle spinte soggettivistiche ponga un’azione forte dell’intermediazione».