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Immigrazione. Calais, l'ultima frontiera. Così si scappa dall'Italia

ILARIA SESANA giovedì 23 ottobre 2014
Malgrado il freddo e l’aria carica di umidità della mezzanotte, Adam indossa solo una felpa, il cappuccio calato sugli occhi: «Non c’è tempo per dormire, ho cose più importanti da fare». Ogni notte cerca di salire di nascosto sui Tir diretti a Dover, in Gran Bretagna, che si imbarcano al porto di Calais. «Voglio andare in Inghilterra per chiedere asilo. Mi riposerò quando sarò a Londra», sorride.  L’onda lunga di Mare Nostrum è arrivata fino alle sponde dell’Atlantico, lungo l’ultima frontiera d’Europa. Molti dei profughi che si trovano a Calais (tra le 1.200 e le 1.500 persone) sono eritrei, siriani e sudanesi soccorsi dalla nostra Marina militare. «Abbiamo sentito rapidamente gli effetti dell’operazione Mare Nostrum: tra febbraio e marzo c’è stato un aumento significativo delle presenze dei migranti», spiega Mael Galisson della rete Plate-forme de services aux migrants. Secondo le stime delle associazioni, a gennaio in città erano presenti fra le 400 e le 500 persone. Questa estate il dato era già triplicato. La strada verso la Francia Da due mesi Adam è incagliato a Calais. La sua casa è una piccola tenda da campeggio verde, tra le centinaia di altre tende e ripari di fortuna nella grande jungle abitata da eritrei e sudanesi (500-600 persone in tutto, un centinaio le donne). Quasi tutti sono stati soccorsi dalle navi di 'Mare Nostrum' e, dopo una breve sosta a Milano o a Roma, si sono rimessi in viaggio. Daniel è arrivato da poche ore alla jungle. «Sono ingegnere elettronico, ad Asmara lavoravo a progetti di sviluppo sostenibile: energia solare ed eolica», spiega. Dopo il soccorso in mare, lo sbarco a Brindisi e una settimana a Roma si è rimesso in viaggio: destinazione Londra. «Sono andato a Ventimiglia e ho preso un biglietto del treno per Cannes – spiega –. La prima volta mi è andata male, la polizia francese mi ha fermato a Menton e rimandato indietro. Solo al terzo tentativo ce l’ho fatta. I’m a good prayer. Dio ha accolto le mie preghiere». Passare il confine tra Francia e Italia è solo questione di fortuna e anche quando va male, basta ritentare. Quasi nessuno qui ha dovuto ricorrere ai servizi di un passeur, le indicazioni viaggiano di bocca in bocca. «Anche io ho preso il treno a Ventimiglia, ce l’ho fatta al primo tentativo – ricorda Paolos, sornione –. Mi sono nascosto, la polizia non ha visto nessun nero e sono passati oltre». Così si sfugge ai controlli «Quasi tutti i migranti che incontriamo sono riusciti a sottrarsi al fotosegnalamento e all’identificazione al momento dello sbarco», spiega Jacky Verhaeghen del Secour- Catholique. Lo dimostra il dato delle domande d’asilo gestite nell’ultimo mese: il 95% di chi ha chiesto di restare in Francia non è stato identificato in Italia. Pochissimi, però, chiedono protezione a Parigi. «Chi ha i soldi può pagare il passeur: da 800 a mille euro – spiega Amanuel, 20enne nato a Massawa –. A noi non resta che provare con i camion». Un’operazione pericolosa, che ha provocato diversi incidenti tra i migranti: almeno una decina di loro è stata investita mentre attraversava l’autostrada. «A volte gli autisti ci scoprono e chiamano la polizia – prosegue Amanuel -. Ci picchiano e da un po’ di tempo usano spray urticanti. Ho visto diversi amici con le braccia rotte a manganellate». C’è chi tenta di nascondersi sui rimorchi o si appende sotto i camion a forza di braccia, sperando di resistere quel tanto che basta. Alcuni arrivano persino a gettarsi in acqua nel tentativo di raggiungere l’area d’imbarco dei traghetti a nuoto, sfidando il freddo e le correnti. Come ha fatto Robiel, giovane eritreo, affogato a Calais il 9 ottobre 2013. Il moltiplicarsi di questi 'assalti' ha fatto crescere la tensione tra gli autotrasportatori. «Chi viene scoperto dagli inglesi con irregolari a bordo deve pagare 2mila sterline di multa per ciascuno » spiega David Sagnard, dirigente di una grossa società di trasporti locale e presidente della Fédération nationale des transports routiers del Nord-Pas-de-Calais. Le proteste di autotrasportatori, delle autorità portuali e del sindaco Natacha Bouchart hanno portato alla firma di un accordo tra Londra e Parigi. Le autorità inglesi si impegnano a versare 12 milioni di sterline in tre anni per migliorare le condizioni di sicurezza del porto, peraltro già pesantemente militarizzato. Soldi che serviranno anche per la realizzazione di un centro d’accoglienza diurno per i migranti. «Il fatto che il governo abbia annunciato l’apertura di questo centro è positivo – conclude Verhaeghen –. I profughi vivono in situazioni molto difficili, nei campi non ci sono docce, acqua corrente, servizi igienici. Ci sono bambini che vivono in condizioni inaccettabili per un Paese europeo». Come se non bastasse nelle jungle di Calais è arrivata anche la notizia di Mos Miorum: la maxi-operazione di polizia lanciata su tutto il territorio europeo volta a contrastare l’immigrazione irregolare. «Ci saranno retate nei campi? Cosa succederà?», chiedono i profughi spaventati. Il timore è che i grossi assembramenti possano essere facile bersaglio per le forze di polizia. Nessuno, però, riesce a dare risposte alla loro inquietudine. L’unica soluzione è fare in fretta, calare il cappuccio della felpa sugli occhi e sperare in un colpo di fortuna per arrivare Oltremanica.