Attualità

Il progetto. Borgo Mezzanone, adesso si cambia

Antonio Maria Mira mercoledì 26 maggio 2021

Dal ghetto alla foresteria. A Borgo Mezzanone si volta pagina. Invece dell’indegna baraccopoli nei prossimi mesi sorgerà un luogo di vera accoglienza per i braccianti immigrati che da anni occupano l’area della 'ex pista', aeroporto militare utilizzato durante la guerra nel Kosovo, diventato tra i peggiori luoghi di emarginazione, illegalità e sfruttamento. Parte il progetto tra Regione Puglia e ministero dell’Interno per riconvertire il Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo), attorno al quale era nato e cresciuto il ghetto. Grazie alla rimodulazione dei vecchi edifici presenti al suo interno e all’installazione di nuovi moduli abitativi, potrà ospitare 1.300 persone, lavoratori che qui, tra Foggia e Manfredonia, arrivano ogni anno per la raccolta del pomodoro. Sarà inoltre creato uno 'sportello lavoro' per far incontrare domanda e offerta. Il costo complessivo è di circa 8 milioni di euro, fondi della Regione, parte delle risorse destinate all’accoglienza dal Pon Legalità 2014-2020, gestito dal ministero dell’Interno.

Il Cara, nato nel 1999, è arrivato ad avere una capienza di 450 persone ma attualmente ne ospita poche decine. Destinato alla chiusura come i Cara di Mineo in Sicilia e Castelnuovo di Porto nel Lazio. È nata, invece, l’idea di riconvertirlo in foresteria, fortemente sostenuta dal prefetto di Foggia, Raffaele Grassi, che proprio oggi lascia la Capitanata destinazione Padova. Ma prima di lasciare Foggia ha voluto far partire il progetto con la firma del protocollo da parte del presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, del presidente della provincia di Foggia, Nicola Gatta, del capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale, Michele di Bari e dello stesso Grassi, presente anche il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro, grande sostenitore della foresteria. Il progetto prevede la rimozione della baraccopoli e la bonifica dell’area.

Anche per questo ci sono già i fondi, previsti dal Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) per la Capitanata. Ma non sarà facile. La prefettura ha già eseguito quattro parziali abbattimenti di baracche due anni fa, l’ultimo l’11 luglio 2019. In quell’occasione ci furono momenti di tensione tra immigrati e forze dell’ordine, con lanci di pietre e lacrimogeni. E le baracche erano tornate. Anche perché allora non si vedevano alternative, malgrado sia un luogo di degrado e morte. Decine gli incendi con ben quattro morti. Il primo il 6 novembre 2018, Bakary Secka, 30 anni del Gambia. Il 26 aprile 2019 un altro gambiano, Samara Saho di 26 anni. Il 4 febbraio 2020 una donna africana rimane gravemente ustionata. Muore dopo tre giorni di agonia. L’ultimo il 12 giugno 2020 si chiamava Ben Ali Mohamed, 37 anni del Senegal. Il 27 settembre 2019 visita il ghetto il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di papa Francesco. «Qui fa freddo, fate qualcosa» gli dice un immigrato.

«Solo baracche e lavoro nero» denuncia un altro. Padre Konrad ascolta e riflette. «Gli sgomberi non servono a niente, se non crei vere alternative. Hanno solo un effetto mediatico». Ora l’alternativa sembra davvero arrivare. «Un progetto sperimentale – spiega il prefetto Michele di Bari –. Oltre ad offrire un alloggio dignitoso e sicuro, vengono sviluppate azioni finalizzate all’integrazione sociale, all’inserimento nel mercato del lavoro regolare e alla promozione dei diritti umani». «La Regione – commenta Emiliano – traccia insieme al ministero una nuova linea di interventi, perché il caporalato si combatte organizzando la sistemazione civile delle persone che vengono per lavorare e l’incontro tra domanda e offerta».