Attualità

CAMPANIA VIOLATA / 3. Quelle bonifiche pagate ma mai realizzate

Valeria Chianese mercoledì 11 luglio 2012
Nemmeno il più prolifico e geniale autore di horror, avrebbe mai immaginato che una parte di Campania Felix, terra di abbondanza, ozio e cultura, sarebbe diventata una landa intossicata e desolata. Eppure è successo realmente, drammaticamente, dolorosamente. E per descrivere l’ampia area racchiusa tra Acerra, Nola e Marigliano non basta una generica quanto parziale correzione in negativo dell’antica definizione: solo parole come veleni e morte descrivono la condizione in cui è stata lasciata questa porzione d’Italia. È infatti Triangolo della morte il macabro nome che da tempo battezza questa zona dell’hinterland napoletano che, non avendo confini precisi, elastici come certe sostanze sversate e bruciate, si estende fino ai grossi paesi della provincia Nord e spesso dentro il capoluogo. A fine aprile la rivista Gene ha pubblicato la ricerca del gruppo di esperti dell’Università Federico II e della seconda Università, coordinato da Bruna De Felice, Carmine Nappi e Maurizio Guida. L’agghiacciante studio riferisce che in Campania e in particolare nell’area dei comuni compresi tra Acerra, Pomigliano d’Arco e Nola si «invecchia prima» a causa dei danni al Dna causati dall’esposizione agli inquinanti pericolosi. «Vogliamo sapere che fine hanno fatto i soldi delle bonifiche», tuona Gennaro Allocca, del Comitato dfesa agro nolano. E di rimando Gennaro Esposito di Assocampaniafelix: «La situazione generale della piana campana è preoccupante: o si bonificano gran parte dei siti inquinati o sarà un  genocidio per l’aumento dei tumori maligni».Rifiuti di ogni tipo - industriale, edilizio, di natura ignota - sono scaricati e ammassati barbaramente in prossimità delle aree coltivate, in aperta campagna e nei tratti di strada poco frequentati, secondo una logica assassina: sul primo strato composto da scarti facilmente infiammabili, pneumatici fuori uso e stracci soprattutto, vengono versati i rifiuti liquidi o semisolidi, i più nocivi, periodicamente incendiati per nasconderne le tracce o semplicemente per far posto ad altre scorie velenose da sversare poi. Non tutto però va sempre in fuoco e fumo. Tra gli alberi che non danno più frutto fusti blu sono abbandonati capovolti, aperti, e in alcuni punti steli altissimi di erba li coprono allo sguardo come una sorta di tomba vegetale, segno che la monnezza schifosa e velenosa è lì da lungo tempo. D’altronde ottomila tonnellate di fanghi industriali provenienti da Porto Marghera sono stati smaltiti nelle campagne di Acerra dal clan dei casalesi mascherandoli da compost fertilizzante. A Marigliano è stata ritrovata interrata un’intera autocisterna piena di sostanze velenose sotterrata in una discarica abusiva e qui ricompare, come misteriosamente scompare dal resto del territorio nazionale, il car-fluff, cioè il residuo altamente tossico della frantumazione dei veicoli rottamati. Le criticità ambientali del cosiddetto Triangolo della morte spaziano dalle cave di Polvica-Roccarainola, alle discariche di Difesa, Paenzano1 e 2, Ardolino, Tufino per finire ai Regi Lagni mai bonificati e al depuratore che non depura di Marigliano-Nola.Ma nella notte del 9 Giugno del 2004 scattò l’operazione Terra Mia, condotta dal Corpo forestale coordinato dalla Procura di Nola, che scoprì il triangolo dei veleni e che per la prima volta in Italia configurò l’ipotesi di reato ambientale. L’operazione consentì di tracciare una mappa precisa delle discariche illegali nella zona. E la camorra non c’entrava nulla o quasi: si trattava di imprenditori che consideravano lo sversamento illecito perfettamente normale, se non legale.La definizione Triangolo della morte, data agosto 2004 e fu coniata dai ricercatori Kathryn Senior e Alfredo Mazza, ricercatore in Fisiologia clinica del Cnr a Pisa, che sulla rivista scientifica internazionale The lancet oncology pubblicarono lo studio Italian Triangle of death linked to waste crisis (Il Triangolo della morte italiano collegato alla crisi dei rifiuti) sull’incidenza tumorale in Campania, che nell’area in esame è di molto superiore alla media nazionale.