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Brunelli. «Bonaccini rischia. Il Pd? Un partito di sinistra senza più un progetto»

Arturo Celletti martedì 26 novembre 2019

Gianfranco Brunelli

«Dopo la vicenda Umbria c’è un primo vero elemento su cui ragionare: anche l’Emilia-Romagna è contendibile. Anche nella regione culla della sinistra non ci sono più certezze. È così: non c’è più uno zoccolo duro per gli eredi del Pci». Gianfranco Brunelli, il direttore de Il Regno, la rivista di informazione religiosa fondata dai dehoniani, con il cuore e la testa a Bologna, riflette sul voto del 26 gennaio e avverte il centrosinistra: «L’Italia sta cambiando. Un cambiamento profondo. Culturale e sociale. E nessuno è al riparo».

Non basta insomma il buon governo di Bonaccini?

No, non basta a determinare una tranquilla continuità. Ci sono pezzi di regione già a trazione leghista. C’è Ferrara, c’è Forlì, c’è una miriade di piccoli comuni. La Regione non è fatta solo da Modena e Bologna.
Non basta perché?
Perché il buon governo regionale paga l’incompiutezza del Pd nazionale e di una sinistra italiana troppo legata al proprio passato. E in modo particolare alla vicenda del Pci. Il Pd non è più un partito di centrosinistra. È un partito di sinistra e ha perduto il proprio progetto riformatore per il Paese.
Sta dicendo che è la dimensione nazionale a prevalere?
Esattamente. C’è un elettorato mobile, in continua trasfor-mazione. Che cerca il cambiamento, e che lo premia.
E Salvini l’ha capito?
Perfettamente. Ha costruito la sua campagna elettorale su sette parole: 'Basta Pd, l’Emilia- Romagna è di tutti'. È come se dicesse: liberiamo la regione da una sinistra che l’ha occupata con il proprio sistema di potere. Salvini insegue il 'salvinismo', la reazione a quelli che - al potere per troppo tempo - non percepiscono più i disagi e le incertezze della gente.
È una strategia che funziona?
Può funzionare perché il dato di fondo è la continuità del potere, che nasconde i buoni risultati del governo regionale. È un po’ come se in questa fase di metamorfosi culturale e sociale il cambiamento sia sufficiente a vincere. Poi, certo, il giorno dopo bisogna governare e la Lega non ha classe dirigente locale.
Che rischi vede?
Credo che il cambiamento senza un progetto è solo una reazione cieca a chi c’era prima. Cambiamento senza orizzonte e senza obiettivi rischia di avere contraccolpi pericolosi. Ma le reazioni non chiedono il permesso.
Com’è Bonaccini?
È stato un governatore all’altezza. Il giudizio è positivo, ma la campagna elettorale è nazionale e non regionale: non è, e non sarà, un confronto tra lui e Lucia Borgonzoni. La candidata del centrodestra ha consegnato la campagna elettorale al capo della Lega.
Bonaccini però potrebbe giocare all’attacco e dire che l’Emilia- Romagna è un modello per la rinascita del centrosinistra in Italia.
È una strada. L’Emilia-Romagna anche storicamente è l’epicentro del riformismo nella storia della sinistra. Può ancora essere un modello. Ma serve un progetto per il Paese.