Attualità

SOFIA. Giustizia, il premier sogna la «rivoluzione»: «Riforma costituzionale, poi referendum»

Arturo Celletti venerdì 16 ottobre 2009
Gli occhi del Cavaliere fissano le telecamere. E le mani si muovono come per voler dare forza all’ennesimo atto d’accusa. «... Così la Corte ha detto ai pm rossi di Milano: riaprite la caccia all’uomo». La sentenza della Consulta ha lasciato il segno e Berlusconi, confessandosi a tutto campo, nella lussuosa hall dell’hotel a cinque stelle di Sofia lo fa solo capire. Qualche ora più tardi il premier è a Preturo, un piccolo centro a una manciata di chilometri dall’Aquila per inaugurare nuove case per i terremotati. Una signora di mezza età gli grida quello che molti gli gridano: «Presidente non mollare». Questa volta però Berlusconi si ferma. E spiega come stanno le cose senza inutili giri di parole. «Quando uno prende un pugno in faccia per un po’ gli fa male poi si riprende e va avanti... Stia tranquilla signora, io non mollo».Per capire quelle ultime due parole bisogna riportare indietro le lancette dell’orologio di trecento minuti. È a Sofia che il capo del governo spiega che cosa significa per lui non mollare. È qui, nella capitale bulgara, che Berlusconi annuncia la «rivoluzione»: una grande riforma della giustizia da realizzare cambiando la Costituzione anche senza il contributo delle opposizioni e lasciando poi ai cittadini il sì finale con un referendum. All’improvviso i "buoni propositi" sembrano evaporare. Non c’è più la volontà di una riforma condivisa emersa nell’ultimo vertice con Fini. Non c’è più la voglia di trovare un’intesa con le opposizioni su cui era sembrato convenire anche Bossi. Oggi è un giorno diverso. "Segnato" dalle nuove «cattiverie» di Annozero e dall’indisponibilità di Franceschini a collaborare sulle riforme. E allora il realismo prende il posto dell’esagerata fiducia. «Con questa opposizione ho poche speranze che ci possa essere un dialogo visto anche il modo in cui si esprimono», ripete Berlusconi che con il tono di voce ancora più basso chiosa: «Accusano me di violenza verbale ma se c’è una persona non violenta sono io». Il messaggio è uno: si volta pagina e subito. È, insomma, l’ora della «rivoluzione», di «prendere il toro per le corna». Di rendere concreta una riforma costituzionale per cambiare la giustizia. «Una riforma – spiega il Cavaliere – che faccia del nostro Paese una democrazia vera non soggetta al potere di un ordine che non ha legittimazione elettorale... Quindi c’è un grande lavoro da fare». I tempi saranno lunghi, probabilmente lunghissimi e la verità inconfessabile che circola tra palazzo Chigi e palazzo Grazioli è che nemmeno Berlusconi crede al progetto che annuncia. È solo comunicazione: non c’è una proposta di merito, c’è solo l’indicazione di un metodo. È solo, insomma, un messaggio che il premier ha deciso di spedire a quel mondo che ha lavorato e lavora per provare, ancora una volta, a disarcionarlo. Tutto sembra studiato. Le parole. I toni. Berlusconi ragiona a voce alta sulla «presenza nella vita politica di certa parte della magistratura e sull’influenza che questa magistratura può avere sulle decisioni per esempio della Consulta...». E avverte: «Io considero che ciò non sia una cosa buona». Berlusconi scandisce avvertimenti, ma lui è il primo a sapere che «le rivoluzioni non si possono fare in tempi brevi». La domanda è inevitabile: gli alleati concordano sulla «rivoluzione»? Il premier annuisce: «Penso di sì, siete voi che vedete discordie...». Quando è quasi sera il Cavaliere è ancora a Preturo. E, lontano dagli applausi carichi di riconoscenza e dai progetti sulla giustizia, "regala" una parentesi di politica economica: il debito pubblico italiano potrebbe salire quest’anno al 112 per cento.