Attualità

LA DECADENZA DAL SENATO. Il Cavaliere disarcionato «Democrazia in lutto»

Giovanni Grasso mercoledì 27 novembre 2013
L'orologio dell’aula di Palazzo Madama segna le 17,43. E il presidente Piero Grasso annuncia che anche l’ultimo dei nove odg contrari alla decadenza di Silvio Berlusconi è stato bocciato. Pertanto, spiega, «la relazione della Giunta per le immunità deve intendersi approvata». In altre parole il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi per tre volte presidente del Consiglio, non è più senatore. Uno strano silenzio regna in quell’aula per qualche secondo. Parte l’applauso un po’ forzato del gruppo grillino, a cui si associano un paio di senatori del Pd,.È una uscita di scena tutto sommato in tono minore, tutt’altro che teatrale. Forse perché Forza Italia la sua protesta la vuole concentrare in altre sedi, nelle piazze e in televisione. In aula c’è stata sì qualche scintilla verbale, ma i commessi – preparati al peggio – sono dovuti intervenire una volta sola, per strappare letteralmente di mano al senatore Scilipoti (uno dei più scatenati) un manifesto pro-Berlusconi. La cronaca d’aula della giornata registra soprattutto uno scontro procedurale, un continuo richiamo al regolamento, in particolare contro la decisione del presidente Grasso di indire la votazione con il voto palese. E per qualche tempo sul banco degli accusati sembra esserci finito proprio lui, non Berlusconi. Contestato per una gestione, secondo i berlusconiani, non equilibrata, non imparziale, non da «arbitro». «Se dite che sono un arbitro, dovete anche accettare le decisioni dell’arbitro», replica senza rabbia, quasi rassegnato.Quello che poteva essere un grandissimo dibattito politico sull’uscita di scena di un indubbio protagonista, tanto amato quanto contestato, si è in sostanza risolto in una stanca schermaglia dialettica tra quanti sostenevano che si era in presenza di un voto su una persona (Forza Italia e Ndc) e, che quindi bisognava votare segretamente, e coloro che invece sostenevano la tesi del presidente Grasso, votata a maggioranza dalla Giunta per il regolamento, secondo il quale si trattava invece di votare solo la presa d’atto di un’incompatibilità con la presenza in Senato di un condannato per corruzione in via definitiva. Certo, Annamaria Bernini, capogruppo di Forza Italia, si è quasi sgolata per dire che con questo voto colpevole il Senato «consegna la sovranità popolare nelle mani di una magistratura» faziosa e politicizzata. E il parigrado del Pd Luigi Zanda a ribattere: «È inaudito parlare di "golpe" di fronte all’applicazione di una legge dello Stato». Ma l’unico vero picco di una seduta stanca e trascinata, è stato quando la capogruppo dei M5S Paola Taverna ha definito Berlusconi «delinquente abituale, recidivo, promotore, organizzatore e utilizzatore finale di decine di reati». Le urla di protesta a quel punto si sono alzate dai banchi di Forza Italia e anche del Ndc. Ma poi si è proseguito senza incidenti. Anche la catena di interventi sul regolamento con fini chiaramente dilatori da parte degli esponenti di Forza Italia è stata a un certo punto interrotta. Nitto Palma ha più volte fatto cenno ai colleghi di chiudere con le polemiche. E Sandro Bondi si è rivolto ai senatori del suo partito: «Apprezzo il vostro impegno, la vostra dedizione, ma ormai è tutto inutile: hanno già deciso tutto». Il voto finale ha riflettuto gli schieramenti in campo: contro gli ordini del giorno del centrodestra hanno votato il Pd, Sel, il M5S, Scelta Civica e l’Udc. A favore forzisti, alfaniani e Lega. Con l’eccezione, in Scelta Civica, di un paio di astenuti: Albertini e Di Maggio contrari al voto palese.