Attualità

Zone rosse mancate. Le deposizioni di Conte, Speranza e Lamorgese ai pm di Bergamo

Vincenzo R. Spagnolo venerdì 12 giugno 2020

I parenti delle vittime di Covid19 in procura a Bergamo durante il Denuncia Day, il 10 giugno 2020

La consegna, sia a Palazzo Chigi che al Viminale e al ministero della Salute, è duplice e persino scontata: riserbo e tranquillità. Ed è tutto ciò che trapela da fonti di governo. Sono in corso le deposizioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ascoltato dai pm a Palazzo Chigi, e dei ministri Luciana Lamorgese e Roberto Speranza, come «persone informate sui fatti» nell’inchiesta della procura di Bergamo su eventuali responsabilità istituzionali rispetto all’alto numero di decessi in provincia.
In particolare, nelle tre audizioni dei componenti del governo, i magistrati potrebbero chiedere lumi sulla mancata istituzione della zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo, colpiti da un alto numero di contagi.

L’ipotesi di ascoltare premier e ministri è stata valutata dalla procura a fine maggio, dopo le deposizioni del presidente della Lombardia Attilio Fontana e dell’assessore al Welfare Giulio Gallera. Per il primo era «pacifico» il fatto che, a inizio marzo, spettasse a Roma decidere se isolare Nembro e Alzano (ciò non avvenne e in seguito il governo trasformò tutta la Lombardia in zona arancione). «Da quel che ci risulta, è una decisione governativa» aveva poi dichiarato pubblicamente la procuratrice bergamasca facente funzioni Maria Cristina Rota. Una linea di ragionamento rigettata – anche se non apertis verbis – dall’esecutivo.

«La Lombardia poteva creare “zone rosse” in piena autonomia, se riteneva giusto non aspettare il provvedimento del governo», è la valutazione attribuita al premier ieri in un articolo del Corriere della Sera.

La linea del governo. Se c’è dunque qualche apprensione per le domande che oggi i pm di Bergamo rivolgeranno al premier e ai ministri, (sentiti, lo ricordiamo, in veste di testimoni e non di indagati) ciò non trapela da fonti di governo. L’altro ieri, preannunciando la deposizione odierna, Conte ha ostentato calma serafica: «Le cose che dirò al pm, non posso anticiparle: riferirò doverosamente tutti i fatti di mia conoscenza. Non sono affatto preoccupato». Non è «arroganza, né sicumera», ha aggiunto, «non commento le parole del procuratore, ci confronteremo con la massima serenità».

I magistrati hanno già sentito il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, anch’egli in qualità di persona informata sui fatti. Mentre il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, intervistato su Rai3, ha precisato: «Noi abbiamo sollevato l’attenzione sulle aree dove c’erano il numero maggiore di casi. Sono state fatte, senza perder tempo, tutte le analisi che hanno permesso al decisore politico di fare le scelte del caso».

Toccherà ora a Conte e ai ministri interessati rispondere ai pm, ricostruendo le scelte di quei giorni. Confrontando le deposizioni con eventuali carteggi via mail fra esperti sanitari e governo, i pm potranno ricostruire la catena di valutazioni effettuate. E non è esclusa neppure l’acquisizione di verbali di riunioni del Cdm, per ricostruire le argomentazioni che hanno portato a non “chiudere” Nembro e Alzano, una volta esploso il contagio (a differenza di quanto avvenuto ad esempio a Codogno o a Vo’ Euganeo). Nelle denunce dei parenti delle vittime, una delle accuse ricorrenti riguarda quei «15 giorni di assoluta inerzia che hanno permesso al focolaio della media Valle Seriana di espandersi in modo incontrollato».

A fronte di questo, c’è la convinzione del premier e dei ministri di essersi mossi nel solco della legge e con senso di responsabilità. «Le misure adottate sono state sempre accompagnate da scelte difficilissime – ha detto in un’informativa al Senato il titolare della Salute Roberto Speranza –, che ci hanno permesso di piegare la curva del contagio e salvare la vita a migliaia di persone. Non c’era alternativa».