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Lo sciopero per i rider / 5. Edoardo Bennato: salvare i rider sfruttati dai Mangiafuoco

Paolo Viana giovedì 26 settembre 2019

L’indagine a tutto campo avviata dalla Procura di Milano sui rider che consegnano cibo a domicilio ha riacceso un faro su un fenomeno, quello dei ciclofattorini che lavorano con l’utilizzo di piattaforme elettroniche e sono privi di tutele minime e hanno paghe bassissime. Venerdì 20 settembre abbiamo pubblicato un editoriale di Francesco Riccardi nel quale abbiamo proposto una riflessione sull'utilizzo di determinati servizi. «Soprattutto per chiarire a noi stessi dove poniamo il nostro limite: quale trattamento dei lavoratori siamo disposti ad accettare, quando si tratta degli altri e non di noi? – scrivevamo –. Se consideriamo sfruttamento la mancanza di tutele minime (...), la nostra scelta non può che essere rinunciare. Almeno fin tanto che le compagnie di distribuzione non tratteranno in modo adeguato i loro dipendenti. Lo sciopero potremmo cominciarlo noi. Anche seduti a tavola». Sulla proposta sono intervenuti nei giorni scorsi politici, esperti, sindacalisti, scrittori e attori, esprimendosi a favore o avanzando alcune perplessità. Un dibattito che continua.

I rider sono gli 'ultimi' in questo mondo di gatti, volpi e Mangiafuoco, nel quale ciascuno cerca di sfruttare la situazione per arricchirsi. Giusto difenderli. Ingiusto comprare low cost sulla loro pelle. «Se voglio mangiare una pizza vado a comprarmela, non intendo più arricchire le società della pubblicità».

Edoardo Bennato sottoscrive la campagna di Avvenire in difesa dei ciclofattorini, ma guarda oltre. Il burattino senza fili della canzone italiana sta preparando il concerto di Portici, che venerdì chiuderà il tour e in sottofondo si odono le note di 'Pronti a salpare', il brano che ha vinto il premio Amnesty International 2016. «Si lotta, si deve lottare contro le ingiustizie – ci dice –, ma deve cambiare il nostro atteggiamento anche verso la Cina, da cui proviene una miriade di prodotti che escono dalle mani di lavoratori bambini».

Il leader dei ragazzi del cortile, la band fuori dal coro del 'sistema' musicale italiano che tanto piaceva a De André, ama filosofeggiare ed esprimersi per calembour, eppure oggi va dritto al punto: «Lottiamo per questi ragazzi che sono gli ultimi, che si danno da fare e sfrecciano per le strade delle nostre città. Loro sanno benissimo che rischiano la vita per quattro soldi e che danno la possibilità a grandi società di arricchirsi, ma non hanno alternative. Certo, nel 2019 la matassa dei rapporti sociali, etici e giuridici che tengono insieme un Paese è talmente ingarbugliata e questa Nazione è così allo sbando, che, quando vedi che i più deboli pagare il conto, da un lato ti chiedi come difenderli davvero e dall'altro ti chiedi perché dovrebbe funzionare se non funziona neanche negli ospedali di Crotone e Lamezia Terme».

Il suo non è pessimismo; è realismo parossistico. Sfocia nella denuncia sociale, ma come la intende lui; mai diretta, costruita intorno alla metafora, un mix di creatività e, da buon architetto, rigore scientifico. «Il titolo dell’album 'Pronti a salpare' – spiega – è un invito rivolto non tanto ai disperati che scappano da guerre, fame, devastazioni e poi si ritrovano a pedalare tra le auto per portarci la pizza calda calda, ma a noi 'occidentali privilegiati'.

Per lo scandalo dei rider dovremmo denunciare gli italiani, tutti, poiché, in virtù della sacrosanta teoria che ogni esercito ha il comandante che si merita (e viceversa), siamo tutti responsabili di quel che avviene. Dobbiamo partire da lì, riconoscerci per la Babele che siamo e che ho rappresentato in un quadro donato a papa Francesco: l’umanità in posa che fa la guerra...» Il riferimento è alle tele dipinte dalla rockstar per Expo 2015, alla mostra 'In cammino' che affronta le tematiche sociali presenti anche nell’album 'Pronti a salpare': «I migranti rappresentano il cammino della famiglia umana che è in atto da millenni. Li ho ritratti mentre attraversano spiagge sotto il sole cocente, carichi di oggetti, per sfuggire da guerre e povertà. Sono gli stessi che cercano di campare nelle nostre città; anche quando non camminano, ma pedalano».

L’iperrealismo della produzione artistica riflette l’analisi: «Diciamo la verità: questi disgraziati che rischiano di essere arrotati per portarci un sushi cosa possono fare? Di più: quali regole si impongono ai loro datori di lavoro? Sono forse peggiori di altri in un mondo allo sbando in cui ognuno 'approfitta'?» Cinquant’anni dopo lo 'Stato imperialista delle multinazionali' si è preso dunque la rivincita? Bennato non ci sta a semplificare: «Negli anni Settanta la situazione era diversa. La globalizzazione ha creato un valore latitudinale in base al quale, sul piano etico e sociale, noi siamo indietro di decenni rispetto a Stoccolma, mentre a Lagos sono nel Medioevo». Il cambiamento passa attraverso le scelte di consumo? «Certo, se preferisco andare a prendermi la pizza invece di avvantaggiare una entità che sfrutta», ma «dobbiamo essere consapevoli che rischiamo comunque di apparire anacronistici, che il mondo sembra andare avanti senza di noi. Perciò dico che il discorso va ampliato: denunciamo questo fenomeno dei rider ma anche nei confronti della Cina dovremmo avere un atteggiamento diverso, perché là ogni prodotto nasce dallo sfruttamento di bambini e ragazzi», conclude il cantautore. Con un’amarezza che non ha però il retrogusto della resa: «Il mondo corre e sembra quasi che non gliene importa niente dell’affanno della gente, ma ci vogliamo finalmente dare tutti una bella regolata?». Sembra, anzi è una strofa del suo Giro Girotondo.

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