Attualità

Beatrice Fihn. La giovane premio Nobel che lotta contro l'atomica

Lucia Capuzzi mercoledì 7 marzo 2018

Beatrice Fihn

Quando, la settimana scorsa, il presidente Vladimir Putin ha presentato, con una punta d’orgoglio, i nuovi, mastodontici missili nucleari russi, Beatrice Fihn ha commentato, su Twitter: «Ci vogliono più donne ai posti di comando e meno ego maschili in crisi». «Ovviamente scherzavo. Ma non troppo», dice. Questa ragazza di 36 anni, lunghi capelli biondi e grandi occhi azzurri, ama ribaltare gli stereotipi. A cominciare da quello per cui la diplomazia e la lotta nonviolenta sarebbero «robe da femminucce», da relegare ai margini della politica internazionale, tuttora appannaggio di un ristretto club di «vecchi maschi bianchi». Fihn ha costretto i potenti della terra ad ascoltare il grido della società civile contro la minaccia nucleare. L’International campaign to abolish nuclear weapons (Ican), che guida dal 2007, è riuscita a “convincere” l’Assemblea generale dell’Onu, lo scorso 7 luglio, a mettere al bando le armi nucleari. Una vittoria impensabile e impensata per l’Ican, di cui fanno parte anche otto Ong italiane: Rete disarmo, Senzatomica, Associazione nazionale medicina per la prevenzione della guerra nucleare, Cormuse, Istituto ricerche internazionali di Archivio disarmo, Peacelink, Wilpf Italia, World foundation for peace. Tanto che il Comitato norvegese ha voluto insignire la Campagna, del Nobel per la pace 2017.

Per “portare” il trattato a New York è stato necessario un lungo e complicato lavoro di negoziazione. Alla fine, però, 122 Paesi hanno sostenuto il trattato. Fihn, però, non si culla sugli allori. «La battaglia è appena all’inizio. Siamo impegnati ad ottenere le 50 ratifiche necessarie: al momento, solo cinque Stati l’hanno fatto: Cuba, Guyana, Messico, Santa Sede e Thailandia. Al contempo, stiamo cercando di confrontarci con le nazioni contrarie all’iniziativa, a cominciare da quelle parte dell’Alleanza atlantica. Non sarà facile convincerle a rinunciare agli arsenali atomici ma non impossibile». Non è una sognatrice Fihn. Due lauree – in Relazioni internazionali e Legge –, la presidente è una persona estremamente pragmatica. Fin da quando, allora giovane stagista alla Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, le capitava di ascoltare i lunghi interventi dei rappresentanti di Stati Uniti, Russia e Cina sulla politica di deterrenza e sul cosiddetto “equilibrio nucleare”. «Le loro argomentazioni, per quanto affascinanti, erano sconclusionate: l’atomica non è solo pericolosa per l’umanità. È inutile: nessuno può impiegarla senza distruggere al contempo se stesso. Così mi sono detta: il mondo deve mettervi fine». Il modello di Ican e di Fihn è la mobilitazione internazionale contro le mine anti-uomo che, vent’anni fa, ha portato alla messa fuori legge di questi ordigni. Una campagna che ha come simbolo un’altra donna, Jody Williams, anche lei Premio Nobel.

«Da quella volta abbiamo appreso una lezione fondamentale per qualunque movimento civile: il ruolo-chiave dell’opinione pubblica. Non è può essere un leader a modificare, quasi per magia, la situazione globale. Solo le persone possono mettere alle strette i propri dirigenti, “costringendoli” a cambiare strada. È avvenuto con le mine anti-uomo. Ora può accadere di nuovo con l’atomica». In tal senso, il traguardo all’Onu rappresenta un precedente fondamentale. «Washington, Mosca e Pechino, all’epoca, non sottroscrissero il trattato sulle mine. Furono, però, ugualmente spinte a modificare i propri comportamenti perché la società civile non ne tollerava la produzione e l’utilizzo. Pure stavolta si sono tenuti fuori dal bando. Spetta a noi cittadini rendere “costosa” tale decisione e indurli a modificarla». Fihn, come dimostra l’agenda fitta che la porta a saltare da un Continente all’altro, è in corsa contro il tempo. L’attuario scenario internazionale multipolare moltiplica il rischio di incidenti. «Ci sono focolai di guerra ovunque. Un errore, in questo contesto, è più facile. Nel caso di armi atomiche, gli sbagli, però, possono essere irreparabili. Per questo non abbiamo tempo da perdere», conclude.