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Il caso. «Baby-boss onorati come santi», Napoli alla guerra dei murales

Antonio Averaimo domenica 24 gennaio 2021

Nel murale Ugo Rosso, ucciso durante una rapina. In primo piano, il padre del giovane

Mescolati alle edicole votive dei quartieri popolari di Napoli, quasi si confondono con esse. D’altronde, qui il confine fra sacro e profano è sempre stato piuttosto labile. Sono gli altarini, le cappelle e i murales nati in memoria dei giovani della Napoli criminale. Nei giorni scorsi sono diventati il terreno di un vero e proprio scontro istituzionale fra Prefettura e Comune, nel quale ieri si è inserita la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a dare manforte al prefetto Marco Valentini, che ne ha chiesto in più occasioni la rimozione al sindaco Luigi de Magistris. «Sposo in pieno la linea del prefetto. Quei murales vanno rimossi», ha dichiarato la ministra.

«C’è il rischio che si alimenti un disvalore, che si promuova uno stile di vita meritevole di celebrazione », aveva detto Valentini nei giorni scorsi in un’intervista al quotidiano napoletano Il Mattinodopo averlo ribadito più volte di persona al primo cittadino nel corso dei comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica. Per ora de Magistris si è solo limitato a manifestare il suo dispiacere per il fatto che la questione sia stata portata all’attenzione del- l’opinione pubblica sugli organi di stampa. I murales raffiguranti Ugo Russo e Luigi Caiafa, gli ultimi due di una serie lunghissima di giovani rapinatori morti ammazzati da poliziotti o carabinieri durante le loro scorribande, hanno dato il via al dibattito. Il primo sorge in mezzo ai Quartieri Spagnoli a piazzetta Parrocchiella, l’altro nel cuore del centro storico in vico Sedil Capuano.

Ai piedi dell’enorme murale che raffigura Russo c’è la scritta a caratteri cubitali 'Verità e giustizia'. Ugo fu ammazzato da un carabiniere fuori servizio mentre tentava di rapinarlo. Dopo la sua morte furono esplosi dei colpi contro la caserma Pastrengo, quartier generale dei carabinieri in città, e fu devastato il Pronto soccorso dell’ospedale dei Pellegrini. Era il segnale che la Napoli criminale inviava allo Stato, reo di aver ammazzato un ragazzino. Il padre ha seguito personalmente l’allestimento dell’opera. Quando fu completata, si giustificò davanti ai cronisti: «Nessun atto di forza, né la volontà di mitizzare mio figlio: questo murale vuole essere solo un modo per mantenere alta l’attenzione su quanto accaduto quella notte e un monito per gli altri ragazzi dei Quartieri affinché certi fatti non si ripetano».

Ma guai a toccare i simboli, alla Napoli criminale. Se lo fai, quella risponde con l’unico linguaggio che conosce: quello della violenza. Così, quando due poliziotti del vicino commissariato si sono avvicinati a un’edicola votiva dedicata a Ugo insospettiti da alcuni movimenti, il fratello maggiore, Alfredo, si è scagliato contro gli agenti. Il padre di Caiafa invece è stato ammazzato a Capodanno in un agguato avvenuto nella strada in cui abitava, proprio lì dove sorge l’opera dedicata al figlio morto diciassettenne. I murales sono la versione più moderna dell’omaggio al criminale minorenne morto sul campo.

Al più conosciuto fra i baby-boss napoletani, Emanuele Sibillo, capo della “paranza dei bambini” raccontata da Roberto Saviano nell’omonimo libro e nel film a esso ispirato, è stata dedicata una vera e propria cappella dove sacro e profano si mescolano fino a diventare un’unica cosa. Sorge in uno dei tipici portoni dei palazzi del centro storico, in vico santi Filippo e Giacomo, a pochi passi dalla centralissima via Tribunali e dalla Napoli turistica. C’è un quadro della Madonna in bella mostra, ma c’è anche una scultura che raffigura il boss “barbudo” morto a soli 19 anni nel corso di una delle “stese” con cui lui e il suo gruppo tentava di terrorizzare i suoi rivali e l’intero centro storico.

Ai piedi c’è l’immancabile scritta “ES”, la sigla con cui Sibillo era conosciuto, replicata in diversi punti sui muri del quartiere. Stesso spettacolo a Forcella, in via Sant’Arcangelo a Baiano, dove c’è una madonnina circondata da una grande fontana. Qui gli affiliati del clan egemone dei Mazzarella portarono fiori, candele e fuochi d’artificio per celebrare la morte del boss della “paranza”. A pochi passi, in vico dei Tarallari, un altro altarino fatto erigere da Luigi Giuliano, il boss ora collaboratore di giustizia che da questo minuscolo vicoletto controllava il quartiere e parte della città. A pochi metri di distanza, la scuola e la biblioteca dedicate ad Annalisa Durante, uccisa a 14 anni il 27 marzo 2004 nel corso di un agguato di camorra che aveva per bersaglio proprio un esponente della famiglia Giuliano.