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Politica. Azzollini, niente arresto. E il Pd litiga

Vincenzo R. Spagnolo giovedì 30 luglio 2015
«Sono tranquillo e soddisfatto, non avevo nessuna convinzione, ma avevo fiducia nelle mie argomentazioni. Penso che sia stata determinante la conoscenza degli atti...». È pomeriggio quando il senatore di Area popolare (Ncd-Udc) Antonio Azzollini commenta coi cronisti l’esito della votazione dell’Aula del Senato che, poco prima di mezzogiorno, ha respinto a scrutinio segreto con un’ampia maggioranza (189 no, 96 sì e 17 astenuti) la richiesta di arresti domiciliari a suo carico sostenuta dalla Procura e dal gip di Trani, che accusano l’ex presidente della commissione Bilancio di diversi reati (fra cui associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta) nell’inchiesta del crac della casa di cura pugliese «Divina Provvidenza». Un esito che ribalta e sconfessa, con inevitabili polemiche politiche (anche interne al Partito democratico), la decisione presa l’8 luglio dalla giunta per le Immunità di Palazzo, che aveva accolto a maggioranza, coi voti dello stesso Pd, la richiesta avanzata dalla magistratura. Prima del voto, Azzollini si era difeso in Aula con un articolato intervento, durato mezz’ora, assicurando di essere vittima del fumus persecutionis («Il gip ha fatto 'copia e incolla' della richiesta del pm, in spregio alla norma sulla necessità dellautonoma valutazione») e ribadendo di non aver mai pronunciato le volgari minacce nei confronti delle suore responsabili della struttura, attribuitegli da un testimone nel provvedimento di accusa. Quindi ha avuto luogo la votazione, tenuta 'a scrutinio segreto' su decisione del presidente Pietro Grasso, che ha accolto la richiesta del Nuovo centrodestra appoggiata da alcuni 'verdiniani'. Una situazione di cui si rammarica il presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda, che la sera prima aveva scritto una mail al suo gruppo lasciando «libertà di coscienza», ma che avrebbe preferito il voto palese: «Purtroppo nel Parlamento italiano il voto segreto è diventato un’arma politica, troppo spesso usata strumentalmente – lamenta Zanda –. Ciò rende molto difficile interpretare correttamente il voto». La decisione di molti senatori dem di votare no, nel segreto dell’urna, irrita il vicesegretario Debora Serracchiani: «Sono arrabbiata, se fossi stata un senatore avrei votato sì – dice senza giri di parole –. Abbiamo commesso un errore, se non nel merito almeno nel metodo: la decisione della giunta andava rispettata. Credo che dovremmo scusarci, non abbiamo fatto una bella figura». Ma l’altro vice segretario del partito, Lorenzo Guerini, non la vede affatto così e le risponde a stretto giro: «Se anche alcuni senatori del Pd hanno scelto di votare contro l’arresto, evidentemente è perché non hanno rilevato dalle carte ragioni sufficienti per dare l’assenso. Ribadisco che, trattandosi di scelte che riguardano le persone, vanno soprattutto analizzate le carte». Nel resto dell’emiciclo, al giubilo nel centrodestra (molti colleghi stringono la mano ad Azzollini mentre qualcuno, come il capogruppo di Ap Renato Schifani, ha gli occhi lucidi per la commozione), fa da contraltare l’ira di Sel e del Movimento 5 Stelle, che col senatore Michele Giarrusso attacca il Pd e la «casta» che «ha perso la faccia». E quando la notizia rimbalza nell’Aula di Montecitorio, dai banchi grillini si alza il grido «ladri, ladri» all’indirizzo del Pd. «Siete la stessa schifezza che eravate due anni fa», urla la deputata di M5S Maria Edera Spadoni. Fuori dal Parlamento, le fa eco il leader Beppe Grillo: «La legge non è uguale per tutti – sentenzia su Twitter –.Azzollini salvato dal Pd».