Attualità

Giornata mondiale. Autismo, il nodo della diagnosi precoce. E dell'aiuto alle famiglie

Enrico Negrotti martedì 2 aprile 2024

La Giornata mondiale dell'autismo

Anche il Quirinale e il Parlamento, sia la Camera sia il Senato, così come molti altri palazzi in Italia, istituzionali e non, saranno illuminati di blu questa sera per la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, che si celebra dal 2007 su indicazione dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu).

«Si tratta di un disturbo del neurosviluppo, molto complesso, che si manifesta nei primi mesi/anni di vita e accompagna la persona nel corso di tutta l’esistenza» spiega Massimo Molteni, neuropsichiatra infantile e direttore sanitario dell’Irccs “Eugenio Medea” di Bosisio Parini (Lecco), sezione di ricerca dell’associazione La Nostra Famiglia. Molteni ha fatto parte del gruppo di esperti che ha collaborato all’elaborazione della Linee guida su diagnosi e trattamento del disturbo dello spettro autistico in bambini e adolescenti, pubblicate nell’ottobre 2023.

Secondo i dati di uno studio epidemiologico dell’Istituto superiore di sanità si stima che nel nostro Paese un bambino su 77 presenti un disturbo dello spettro autistico, con una prevalenza dei maschi: 4,4 volte più delle femmine, secondo le stime del ministero della Salute. Una condizione che coinvolge circa 500mila famiglie secondo la Federazione italiana per l’autismo onlus. Quel che è più necessario, chiarisce Molteni, è che «dopo una diagnosi, quanto più precoce possibile, il bambino e la famiglia vengano presi in carico con una doverosa attenzione non solo sanitaria, ma anche ai bisogni sociali: ogni bambino cresce frequentando la scuola e gli altri ambiti di aggregazione come lo sport. Serve soprattutto un lavoro di rete coordinato per rispondere alle necessità di bambini e famiglie».

L’autismo, in aumento negli ultimi decenni a livello mondiale, resta una condizione parzialmente oscura: «È un disturbo che ha una origine neurobiologica multifattoriale – continua Molteni – di cui tuttora purtroppo non abbiamo una precisa conoscenza sulle possibili cause. Certamente è coinvolta la genetica, che però non spiega da sola tutti i fenomeni». Le manifestazioni possono essere molto varie: «I soggetti presentano difficoltà della comunicazione interpersonale e sociale, presenza di interessi ristretti, ipersensibilità agli stimoli sensoriali, accompagnata talvolta da stereotipie. Si parla di spettro dell’autismo – puntualizza Molteni – perché c’è una grande differenza di gravità: nel 30-40% dei casi l’autismo si accompagna a disabilità intellettiva, ma altri soggetti sono ad alto funzionamento, con un buon linguaggio verbale, e magari in campi di interesse ristretto risultano molto competenti. Molti hanno problemi del sonno, altri di natura gastrointestinale, in alcuni compare l’epilessia».

È importante giungere a una diagnosi precoce, per poter tempestivamente attivare la presa in carico: «Soprattutto le forme gravi – riferisce Molteni – sono riconoscibili già a 18 mesi. Ma quel che più conta è valutare l’impatto che il disturbo dello spettro autistico genera sulla persona nel corso della sua evoluzione. Le Linee guida da poco approvate indicano gli elementi di terapia: non con farmaci, ma con specifici interventi riabilitativi ed educativi a indirizzo comportamentale, anche nei contesti in cui il bambino vive».

Infatti l’ambiente circostante gioca un ruolo cruciale: «I genitori devono essere accompagnati subito dopo la diagnosi e aiutati a comprendere come comunicare, interagire, giocare e parlare con il loro bambino – continua Molteni –. Vanno sostenuti in questa loro fatica, ma poi bisogna trasferire queste conoscenze nel contesto: a scuola, ma anche negli altri ambienti che frequenta, a partire dall’ambito sportivo e ricreativo. E quando cresce, anche nei luoghi di vita dell’adolescente e poi del giovane adulto». A rendere complesso e faticoso il percorso di cura sono molti fattori. «La diagnosi precoce è necessaria per impostare correttamente la terapia – osserva Molteni – che sarà diversa a seconda della gravità del disturbo: la progettualità deve tenerne conto per formalizzare gli interventi in base allo specifico funzionamento individuale». Poi servono risorse adeguate: «Pur essendoci piani per l’autismo a livello nazionale, e ci sono sforzi delle Regioni per adeguarsi, le risorse sono insufficienti – lamenta Molteni – e il modello organizzativo dei servizi territoriali è strutturato solo per “guarire” le malattie attraverso “prestazioni” puntuali e risolutive: un farmaco, un esame, una terapia, un insieme di sedute riabilitative. Invece nell’autismo – ma vale anche per altre disabilità – si tratta di strutturare un percorso che può essere efficace solo se perseguito in una rete di relazioni di cura comprendenti i servizi di neuropsichiatria, i pediatri, i centri di riabilitazione, la scuola, i contesti sociali».

Non è solo una carenza di risorse economiche e di personale specificamente formato: «Se il sistema non rende possibile gestire il lavoro di rete, il rischio è che i bambini e i loro genitori rimangano soli. Non si tratta solo di aumentare le ore di intervento, pure necessarie, ma di entrare in una logica di cura differente – conclude Molteni – che metta al centro la persona e non solo le prestazioni: “persone che curano persone” con professionalità e capacità di ascolto e relazione, non solo tecnici della salute. Così si può ridurre l’impatto dell’autismo e la sofferenza delle famiglie».