Attualità

Rifugiati. Integrarsi con la cucina: Rasha, dalla fuga dalle bombe siriane ai fornelli

Redazione romana lunedì 24 febbraio 2020

La cena solidale preparata da Rasha (a destra con la felpa rossa) con la figlia (al centro)

Fare integrazione sociale con la buona cucina. È l'idea alla base del progetto Gustamundo che, con la collaborazione di molti centri di accoglienza e di alcune onlus, organizza a Roma cene multietniche preparate da uomini e donne provenienti dai paesi più disagiati. Saranno loro che, diventando protagonisti in cucina, vivranno un momento di serenità e aggregazione, consentendo ai commensali di assaggiare specialità di tutto il mondo. L'obiettivo è la formazione professionale di profughi che nel mondo della ristorazione possono trovare l'autonomia. Parte del personale dello stesso ristorante Gustamondo, in Via Giacinto de Vecchi Pieralice, 38,è formato da richiedenti asilo, formati e contrattualizzati.

L'ultima cena solidale al “Gustamundo” c'è stata il 10 febbraio, incentrata sui sapori della cucina palestinese. La serata - realizzata anche con la collaborazione della "Comunità di Sant'Egidio" - ha avuto come protagonista Rasha, che ha condiviso, attraverso i suoi piatti, una storia che parla di coraggio e rinascita. Figlia di profughi palestinesi, Rasha è nata e cresciuta a Yarmouk, campo profughi nella periferia sud di Damasco, in Siria, in un contesto difficile nel quale però era riuscita ad ottenere una certa stabilità sociale ed economica, andata in crisi con il conflitto.

Rasha è sempre stata una grande lavoratrice: parrucchiera, truccatrice e cuoca instancabile a casa, dove ha sempre cucinato per i propri figli e in occasione di feste o cerimonie. Un amore, quello per la cucina, nato grazie a sua madre, dalla quale ha imparato tanto. Ma la sua vita cambia improvvisamente per colpa della guerra: per correre dietro a suo figlio in strada sotto le bombe, viene colpita da alcune schegge che le tolgono quasi completamente la vista. Da questo momento inizia il viaggio che la porterà, con i figli, prima in Libano e poi, il 29 febbraio 2016, a Roma - con il primo corridoio umanitario organizzato dalla comunità di Sant’Egidio e dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. A Roma, come lei stessa racconta, finalmente i suoi tre figli hanno ripreso la scuola e lei segue, al “Sant’Alessio”, un corso destinato a persone non vedenti, per migliorare la capacità di muoversi in modo indipendente e organizzare così la propria quotidianità domestica e lavorativa.

Quella da “Gustamundo” è la sua prima esperienza come cuoca in un ristorante, un evento, questo, che le ha dato una grande emozione ma allo stesso tempo la comprensibile paura nel dover gestire uno spazio che ancora non conosce bene. Il non riuscire a vedere non l’hai mai fermata e l’ha portata ad affinare la conoscenza degli altri sensi, come ad esempio il grande uso delle mani nel preparare le sue ricette, nella speranza, comunque, di riuscire un giorno a riacquistare la vista dell’occhio non completamente danneggiato durante l’esplosione.

Piatto centrale della serata è stata la maqluba, che significa letteralmente “sottosopra”. La sua origine si lega alla tradizione di donare cibo ai poveri dopo i banchetti delle feste. Ogni venerdì, nelle ricche case arabe, o nei giorni di grande abbondanza, il cibo non consumato veniva raccolto in una casseruola e rigirato, poi, su un grande vassoio affinché fosse più facilmente raggiungibile da tutti. Considerato ora una specialità, ha ingredienti ben definiti. Si tratta di uno sformato di carne, verdure e riso speziati, solitamente condito con una salsa di pomodori, cetrioli, sale e yogurt. Nel menù anche il kubba, supplì di riso con carne e spezie e infine il cruason di carne. Tra gli ingredienti presenti in cucina lo za’atar, una varietà di timo selvatico che dà il suo nome a un mix con semi di sesamo, sommacco, sale. Per informazioni: https://www.gustamundo.it/