Attualità

Reggio Calabria. Armi dagli Usa in Siria, via Gioia Tauro

Nello Scavo domenica 29 gennaio 2017

Partivano dalla Turchia alla volta della costa Atlantica degli Usa con la stiva ricolma di arance e olio. Tornavano con i container infarciti di armi. Lungo la rotta di un patto indicibile. Un’alleanza per consentire a Whashington di far arrivare rifornimenti ai gruppi armati sostenuti dagli Usa in Siria attraverso le rotte turche del contrabbando. A Reggio Calabria le bocche sono cucite, ma il maxi provvedimento di fermo ai danni della cosca Piromalli (quasi duemila pagine) lascia aperti molti interrogativi. Alcuni clamorosi. È possibile che gli 007 americani, attraverso l’Fbi, avessero aperto un varco alla ’ndrangheta a patto che i padrini dell’Aspromonte si mettessero a disposizione per contribuire con la propria logistica alla politica estera di Whashington? «Vogliono insegnare a me il mio mestiere», avrebbe detto un funzionario del leggendario Federal Bureau of Investigations a uno degli emissari dei Piromalli. Solo vanterie del rampollo intercettato? Gli inquirenti non si esprimono, ma gli elementi raccolti non sono tasselli in disordine. E se il comandante del Ros dei Carabinieri arriva invocare la «massima collaborazione» dell’Fbi - come se non fosse data per scontata - si capisce che i rapporti tra gli investigatori italiani e americani sono meno idilliaci di quanto non si voglia fare apparire. Per venirne a capo bisogna fare un ripasso di storia criminale. Davvero i calabresi godrebbero di appoggi nei porti turchi, da dove importare ed esportare merci senza che vi siano controlli? C’è un nome che gli inquirenti conoscono. È quello di Muammer Kucuk, il criminale turco che per primo organizzò a partire dalla fine degli anni ’90 l’industria dell’immigrazione illegale in accordo con le famiglie calabresi che assicuravano gli sbarchi in Italia.

E insieme ai profughi, arrivavano droga e armi. Il feudo degli uomini di Muammer è Mersin, nell’Anatolia Meridionale, a tre ore d’auto dal più vicino confine siriano. Ma quello di Mersin non è uno portuale scalo come gli altri, ma un porto franco che beneficia di agevolazioni fiscali e vantaggi sulle importazioni. Lo status di zona franca assicura alla città seimila attracchi all’anno. Adiacente al porto dal 1986 sorge l’area tax free colonizzata da faccendieri provenienti da Europa, Russia, Medio Oriente, Nordafrica e Asia Centrale, protagonisti di un giro d’affari stimato in circa 100 miliardi di dollari all’anno, quando il Pil turco sfiora gli 820 miliardi. Impossibile tenere il conto di uomini e merci in transito. Di solito quando entrano in rada le navi spengono il trasponder, così diventano invisibili ai radar. Non importa che siano perfettamente visibili agli occhi di chi dovrebbe controllare. Se non ci sono sugli schermi, quelle navi semplicemente non esistono. Non in quel tratto di mare. Allo stesso modo, i controlli sulle merci in transi- to sono pressoché inesistenti.

Da Mersin e da altri porti nel Sud della Turchia, salpano le portacontainer che trasportano le clementine anatoliche che poi la ’ndrangheta smercia negli Usa come fosse 'Made in Italy'. Un business corroborato e comprovato, come ha accertato l’ultima indagine della procura antimafia reggina, dalla presenza in Italia di uno dei massimi manager di Walmart, la più grande catena statunitense operante nel canale della grande distribuzione. Il manager, a quanto trapela, sarebbe stato accompagnato in Italia da due agenti dell’Fbi con i quali avrebbe incontrato (consapevolmente?) mediatori riconducibili alla fazione dei Piromalli. L’uomo chiave sarebbe Rosario Vizzari, imprenditore residente nel New Jersey, inserito nel clan egemone a Gioia Tauro, e a capo di una holding proprietaria di varie società di import-export attive nella logistica della grande distribuzione. Vizzari aveva ottime conoscenze tra Boston, Chicago e New York. Contatti che gli hanno permesso di far arrivare negli Usa colossali quantità di olio spacciato per extra vergine italiano.

E’ lui a costruire i ponti. E sarebbe sempre lui il tramite con l’Fbi. «Abbiamo dovuto tenere riservata quest’indagine fino all’ultimo – ha spiegato nei giorni scorsi il procuratore Cafiero de Raho – perché Vizzari è uomo dalle molte conoscenze e avremmo corso il rischio di vedere vanificati molti sforzi». Parole che, alla luce di quanto va emergendo, assumono una rilevanza maggiore. Ma ancora di più pesano le parole del generale Giuseppe Governale, comandante del Ros dei Carabinieri che a questa inchiesta ha dedicato una squadra di super investigatori: «Abbiamo spiegato all’Fbi la pericolosità di questa organizzazione anche per il mercato americano e adesso, anche in ragione degli ottimi rapporti che ci sono sempre stati, ci aspettiamo che su Vizzari si faccia un’istruttoria approfondita».