Attualità

L'ABRUZZO FERITO. L'Aquila va in piazza «Noi, delusi non pazzi»

Alessia Guerrieri giovedì 17 giugno 2010
Elettra ha solo sei anni, ma sfila all’inizio del corteo con al collo il suo disegno della città: un cuore grande e la scritta AQ. Accanto a lei ci sono tanti bambini, famiglie, anziani. Il centro dell’Aquila è colorato solo di diecimila bandiere nero-verdi, il simbolo del capoluogo; nessuna sigla politica, solo i gonfaloni di tutte le istituzioni locali e dei comuni del cratere che hanno dato una connotazione bipartisan al corteo dei "terremotati di serie b". L’hanno ribattezzata mobilitazione SOS una sigla che, ricordando il messaggio dalle tendopoli ai grandi della terra "Yes, we camp", è comparsa già dal mattino sulla collina di Roio, la più visibile per chi arriva in città. Sospensione delle tasse, occupazione e sostegno all’economia, sono queste le tre richieste del popolo terremotato. Un congelamento dei tributi per un periodo ragionevolmente lungo (almeno dieci anni) che consenta all’economia locale di uscire dall’apnea, una proroga delle agevolazioni fiscali per prestiti e mutui per cinque anni. Ma soprattutto, e lo ricorda il grande striscione che chiude l’infinito serpente nero verde, «vogliamo lavorare, vogliamo snellimento delle procedure, vogliamo soldi veri, vogliamo un futuro per noi e per i nostri figli». Tra la folla sfila anche la Chiesa aquilana, con in testa il vescovo ausiliare Giovanni D’Ercole: «I pastori sono con la gente - dice - l’unione di oggi faccia sì che gli interessi personali lascino il posto a quelli della popolazione». A gennaio non possiamo pagare tasse vecchie e nuove, perché i redditi degli aquilani sono ormai minimi. Il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, che cammina con la fascia tricolore in mano in segno di protesta, sciorina i numeri dell’emergenza. «Dovremmo versare - precisa - cinquecento milioni di euro di arretrati in cinque anni. Le famiglie aquilane saranno strangolate tra le tasse da restituire, quelle da pagare e le necessità economiche».L’appello della Curia alla condivisione ha il suo momento più intenso nel raccoglimento intorno all’altare a fine serata, mentre poco distante la protesta, che ha raggiunto alcuni momenti di tensione con l’occupazione della carreggiata dell’autostrada A24, va scemando. «Siamo qui per pregare - sottolinea l’arcivescovo Giuseppe Molinari - perché la preghiera non è rinuncia alla lotta, ma occasione per chiedere a Dio la forza che ci occorre». Il presule invita a guardarsi dentro per comprendere se le colpe sono dello Stato, delle autorità locali o della burocrazia complessa; «Ci sono anche i nostri doveri - conclude - che vanno coraggiosamente adempiuti altrimenti la nostra lotta sacrosanta perde di forza e di credibilità».