Attualità

6 APRILE 2009 - 6 aprile 2010. L'Aquila un anno dopo: la gente ha «resistito»

Paolo Viana venerdì 2 aprile 2010
Qui la chiamano "ora zero". Le 3 e 32 del 6 aprile del 2009 rappresentano il Ground zero dell’Aquila. Ma il terremoto è stato anche un banco di prova per il Paese. Mai, in epoca recente, era stata devastata un’area così ampia e urbanizzata: 308 vittime, migliaia di feriti, 70.000 sfollati, un capoluogo di Regione inagibile, centinaia di chiese e monumenti distrutti o gravemente danneggiati, reti fognarie interrotte, e lo stesso dicasi per gas e corrente elettrica, i servizi paralizzati per mesi…, per non dire del clima, giacché nella valle dell’Aterno freddo e caldo non conoscono mezzi termini. Su tutto questo, il dubbio atroce di Giampaolo Giuliani, il ricercatore che, in base alle emissioni di radon, aveva "previsto" il sisma: l’hanno denunciato per procurato allarme. Una tragedia in mondovisione: la mattina del 6 aprile Onna era la capitale dello strazio in diretta tv. I padri abbracciavano i corpi dei figli, dopo averli strappati a mani nude dalle case precipitate in sepolcri, e le madri vagavano tra le macerie, con gli occhi spenti. Nel centro storico dell’Aquila, polvere e urla: muri di casa hanno schiacciato un’intera famiglia e lei aspettava un bambino, li hanno sepolti i nonni. «Stavano sotto la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala...»: ai funerali di Coppito, di fronte alla spianata di bare, il cardinale Tarcisio Bertone ha dato la parola all’evangelista Giovanni. Nelle stesse ore il procuratore dell’Aquila Alfredo Rossini lanciava "la madre di tutte le inchieste" sulle responsabilità dei crolli.Per mesi, il mondo ha pianto con noi, ma sono stati soprattutto gli italiani a rimboccarsi le maniche. Come in Friuli, come in Umbria e nelle Marche, come sempre insomma si è mossa la carovana degli aiuti. Per il cardinal Bagnasco è stato «un secondo terremoto, quello della gente e della solidarietà». La colletta della Cei ha raccolto 5 milioni di euro; la Caritas altri 26. A distanza di un anno, resta un bilancio a due facce: il governo ha vinto la sfida dell’emergenza, dando un tetto agli sfollati, ma non ha ancora un progetto per la ricostruzione. È fallita la "lista di nozze" annunciata da Berlusconi alla vigilia del G8, spostato dalla Maddalena all’Aquila con corollario di polemiche (e inchieste): i Grandi dovevano adottare 44 monumenti ma solo francesi e kazaki hanno messo mano al portafoglio. I tedeschi si sono impegnati nella ricostruzione di Onna, cui si sentono legati da un "debito" antico, una strage di civili compiuta dalle SS nel ’44. La frazione dell’Aquila, in cui è nato il primo villaggio post-sisma, è diventato anche il laboratorio della ricostruzione sociale: la provincia autonoma di Trento, che ha realizzato la new town, ha avuto l’accortezza di ricreare i vecchi rapporti di vicinato, quel tessuto di relazioni che aiuta a reinventarsi la vita. Non si può dire lo stesso del progetto Case, 4.449 appartamenti antisismici realizzati in tempo di record (792 milioni di euro): ospitano 15.000 persone, individuate tra coloro che hanno le abitazioni maggiormente danneggiate; molte, tuttavia, sono state sradicate dal loro quartiere, acuendo il senso di precarietà in una popolazione che, visti i tempi della ricostruzione, resterà in quelle palazzine prefabbricate per anni. Dovrebbe andare meglio agli abitanti dei Moduli abitativi provvisori, villette di legno (230,6 milioni) per 5.500 persone. Chi poteva, ha scelto l’autonoma sistemazione: in affitto con un contributo pubblico fino a 600 euro al mese. A fine di maggio, mentre nelle tendopoli del cratere venivano assistiti in 35.000, altrettanti erano negli alberghi della costa e un’altra quota in appartamenti affittati dal governo; si raggiungeva in quei giorni, ricorda Lorenzo Alessandrini, l’acme dell’emergenza senza tetto, costata 456,3 milioni. «Oggi negli hotel abbiamo un migliaio di persone che rientreranno a casa non appena saranno terminati i lavori di riparazione alle abitazioni – ci spiega il dirigente della Protezione Civile –. Il problema sono quei 500 che hanno la casa completamente distrutta e per i quali troveremo in poche settimane un alloggio all’Aquila. Problema nel problema: i single». Chi viveva solo è finito in fondo alla lista delle assegnazioni per privilegiare le famiglie con figli in età scolare. Scelta dolorosa, ma che probabilmente ha salvato il cratere dallo spopolamento: la Protezione civile informa che alla riapertura delle scuole «tutti i 17.567 studenti del cratere hanno ripreso l’attività». In provveditorato confermano: «Siamo riusciti ad assicurare la presenza regolare di docenti e bidelli – ci dice il direttore dell’ufficio scolastico provinciale Rita Vitucci – e le famiglie ci danno fiducia: nell’Aquilano, le iscrizioni al primo anno della scuola primaria sono passate da 2.229 a 2.185, un calo fisiologico, e quelle alle medie da 2.473 a 2.538. Complessivamente, tra scuola dell’infanzia, primaria, primo e secondo grado ad aprile 2009 avevamo 11.181 bambini e a marzo 2010 sono 11.021».Più difficile la situazione dell’Università, che ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e di danni: dai 23.097 iscritti del 2006/2007 si è passati a 27.168 nel 2008/2009 e quest’anno ne risultano 21.647. Sarebbe un errore credere che l’attaccamento degli aquilani alla loro terra duri per sempre: la ricostruzione leggera va al rallentatore, il terremoto ha messo in ginocchio commercio, artigianato e turismo, concentrati nei centri storici, e l’incertezza degli aquilani è tutt’uno coi numeri: l’emergenza vera e propria sarebbe costata 1,2 miliardi, senza contare la spesa corrente della Protezione civile, l’opera dei volontari, le donazioni, ecc. Non si sa ancora a quanto ammonterà la ricostruzione leggera, ma è certo che sotto i beni culturali dell’Aquila si è aperta una voragine: per restaurarli il vice di Bertolaso, Luciano Marchetti, ha preventivato 3-4 miliardi. Di vice in vice: Gaetano Fontana, numero due del neocommissario Gianni Chiodi, ha varato le linee guida per i centri storici, ma fino a dicembre non si sapeva ancora dove spostare le macerie. In questo scenario, la rivolta delle carriole delle ultime settimane è il segnale di un’esasperazione che, come ha detto l’arcivescovo Giuseppe Molinari, rischia di venire strumentalizzata. La Chiesa locale si è schierata con i terremotati, che cercano punti di riferimento: il vescovo ausiliare, monsignor Giovanni d’Ercole, responsabile della ricostruzione per la Conferenza episcopale abruzzese e molisana, rivolgendosi al Comune ha chiesto di rimuovere «i blocchi burocratici che ci impediscono di spendere milioni di euro per realizzare chiese e luoghi di aggregazione di cui beneficerebbe tutta la popolazione». Malgrado la riapertura natalizia di Collemaggio, Anime Sante e pochi altri, la maggior parte degli edifici di culto resta inagibile.