Attualità

Le storie. «Apriamo le porte ai tanti fratelli cristiani vittime di persecuzioni»

Laura Badaracchi venerdì 12 settembre 2014
Anche i pastori delle Chiese locali sollecitano fedeli, parrocchie e istituti religiosi ad aprire le porte per accogliere i migranti. Il vescovo di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, ha deciso di adibire un piano della struttura diocesana “Casa della Madonna Pellegrina” come centro di accoglienza per una cinquantina di migranti. Chiedendo al tempo stesso a comunità e famiglie di dire sì all’accoglienza di due o tre persone nelle loro case. E il 28 agosto il vescovo di Cesena-Sarsina, Douglas Regattieri, ha pronunciato parole accorate a favore dei migranti durante l’omelia per la festa di San Vicinio, compatrono della diocesi: «La cronaca è intrisa di situazioni di morte e di distruzione. Bastano queste parole e questi nomi per evocarne la tragica realtà: Egitto, Siria, primavere arabe smorzate nel sangue e ben presto trasformate in inverni bui, Lampedusa, drammatici sbarchi, diritti dei poveri e degli ultimi disattesi».  Oltre alla preghiera, occorre «amorevolezza – ha aggiunto –. E io, vescovo di questa nostra chiesa diocesana dichiaro solennemente, che se arriveranno cristiani in fuga dalla persecuzione abbiamo il dovere sacrosanto di accoglierli. E ci impegneremo, se sarà necessario, nell’aprire le porte delle nostre strutture ecclesiali e mi auguro anche delle nostre case private, per prenderci sulle spalle, come fa il buon pastore, questi nostri fratelli». CREMONACosì le ex canoniche in disuso tornano ospitaliIn molti paesi le ex canoniche sono ormai in disuso, alcune andrebbero ristrutturate, altre vengono già usate per attività pastorali. Eppure la diocesi di Cremona ha trovato molte case parrocchiali da destinare ai rifugiati. Come la canonica di Ca’ de Stefani, a Vescovato, che ha aperto i battenti a cinque persone, riferisce don Antonio Pezzetti, direttore della Caritas cremonese e coordinatore per l’accoglienza dei profughi in diocesi. Un gesto solidale emulato dal parroco di Pescarolo, don Francesco Castellini, che ha messo a disposizione sei posti letto nella casa parrocchiale di Pieve Terzagni. Altri cinque troveranno asilo a Cignone, comunità retta da don Giovanni Tonani. A Castelverde il parroco don Roberto Rota ha assicurato che l’appartamento ricavato nella canonica di Castelnuovo del Zappa, da tempo utilizzato per fronteggiare emergenze abitative, potrà accogliere presto cinque migranti in difficoltà, mentre un’altra decina andrà all’Opera Pia 'Ss. Redentore'. «Altri parroci si sono resi disponibili. Speriamo di poter presto smistare sul territorio altre persone per decongestionare la Casa dell’accoglienza, dove dall’inizio dell’anno abbiamo accolto oltre 200 profughi, metà dei quali ancora presente», dice don Pezzetti, precisando che i richiedenti asilo, «anche se ospitati nelle parrocchie, continueranno a essere seguiti dai nostri operatori. Daremo loro la possibilità di raggiungere Cremona per seguire i corsi di italiano, per integrarsi nella società ed espletare le pratiche sanitarie e burocratiche necessarie per ottenere l’asilo politico». BERGAMO350 i profughi accolti e ospitati, Caritas in prima lineaL’appello di Papa Francesco ha fatto breccia anche nel vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, che ha deciso di destinare ai rifugiati la Casa San Giuseppe a Botta di Sedrina, prima usata per i ritiri spirituali di gruppi parrocchiali, ancor prima di associazioni. Ora, grazie alla collaborazione della Caritas diocesana e in accordo con la prefettura, è diventata la casa per 54 richiedenti asilo; in precedenza, 25 di loro erano ospiti alla Ca’ Matta di Ponteranica, 19 alla Casa del Bosco di Bergamo e 10 alla ex casa delle Suore Angeline a Casazza. Da tempo era diminuito il flusso di fedeli presso l’imponente struttura, dislocata in tre piani più uno seminterrato, per un totale di un centinaio di camere singole con bagno a cui vanno aggiunti gli spazi comunitari. Così il presule di Bergamo, in accordo con il Consiglio episcopale e con la piccola comunità religiosa che viveva nella Casa, ha optato per la destinazione dell’edificio ai migranti sbarcati soprattutto a Lampedusa. Complessivamente, i profughi presenti a Bergamo, accolti e ospitati soprattutto dalla Caritas e da altre cooperative, sono circa 350. I loro Paesi d’origine? Mali, Nigeria, Zambia, Senegal, Eritrea, Siria, Palestina. Approdano tutti in Italia, per lo più a Lampedusa, sui tristemente noti 'barconi della morte'. La Caritas diocesana, diretta da don Claudio Visconti, si occupa di 291 immigrati richiedenti asilo nelle strutture di Urgnano, Casazza, San Paolo D’Argon, Valbondione, Bergamo e Botta di Sedrina.PADRE GAETANI (Cism)«In questa scelta tutta la Chiesa si senta coinvolta»Anche il carmelitano padre Luigi Gaetani, presidente della Cism (Conferenza italiana superiori maggiori), ha rilevato: «Il Papa è chiaro: dinanzi a una società ferita e stanca la Chiesa deve tornare sulla strada, in una condizione di mendicanza, deve essere in grado di abitare su quella frontiera esistenziale e geografica dove concretamente si incontra, si abbraccia, si accompagna l’umanità. In questa scelta tutta la Chiesa deve sentirsi coinvolta, chiamata dallo stesso Signore Risorto a essere segno della carità, riducendo le distanze tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo ». Anche i religiosi sono impegnati nell’accoglienza. Succede per esempio a Roma: nella comunità dei gesuiti di Sant’Andrea al Quirinale vivono Paul, camerunense, e Obai, afgano; entrambi lavorano e sono ben inseriti. A supportarli ogni giorno, anche padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, e Berardino Guarino, responsabile dei progetti, che spiega: «Si tratta di una seconda accoglienza, quindi a medio e lungo termine, e non di una soluzione di emergenza ». I rifugiati sono seguiti individualmente in vista di una completa autonomia: tra l’altro, perfezionano l’italiano, iniziano a lavorare. Gli istituti religiosi, aggiunge padre Gaetani, «si sono lasciati interpellare; alcuni di loro coltivavano delle precomprensioni per i migranti. Ma ciascuno ha i suoi tempi. C’è chi ha già risposto. Dobbiamo attivare una dinamica di apertura per creare una normalità rispetto all’accoglienza. Non si possono delegare questi problemi ai cosiddetti 'professionisti della carità'».