Attualità

I Melis: 837 anni in nove. Anziani e felici. Fratelli da record

Mario Girau domenica 21 settembre 2014
La 'squadra' campione del mondo di longevità si chiama Melis, uno dei cognomi più diffusi in Sardegna. Il 'campo' di casa è Perdasdofogu un centro della provincia d’Ogliastra (Sardegna centro orientale), due mila abitanti, 600 metri sul livello del mare. Ecco i campioni, tutti fratelli, tutti in ottima salute: Consolata 107 anni compiuti il 22 agosto; Claudia 101; Maria 99 anni; Antonio 95; Concetta 93; Adolfo 91; Vitalio 88; Fida Vitalia 83 e Mafalda 80 anni.  Un patrimonio di vita pari a 837 anni, età media semplicemente favolosa: 93 anni. Numero che si appresta ad entrare per la terza volta ufficialmente nel Guinnes World Records. Nessuno come loro in tutto il mondo. Tanto basta per richiamare in quest’angolo dell’isola – dove si registra la massima concentrazione di centenari: 22 ogni centomila abitanti – giornalisti e tv da mezzo mondo. Compresi i giapponesi, che all’inizio del mese hanno trascorso due settimane nel piccolo paesini dell’Ogliastra per monitorare unfenomeno sconosciuto anche nella loro Okinawa. Laddove cioè in fatto di longevità si coltivano comunque ragguardevoli primati. Ma mentre in Giappone 'vince' il singolo, in Sardegna si afferma la squadra. Basta vedere i Melis. Tutti lucidi e autosufficienti. Claudina racconta  perfettamente l’esperienza del figlio salesiano missionario in Madagascar. Adolfo, appena 91enne, diritto come un fuso, segue le vicende foghesi dall’osservatorio speciale del suo bar al centro del paese. È lui che ci accompagna a passo svelto a casa del fenomeno 'tzia Consola', come tutti chiamano la nonnina delle 107 primavere. Parlare con lei è un inno alla speranza, alla fede in Dio e al lavoro. Su questa triplice convinzione la signora Consolata ha costruito tutta la sua esistenza allietata dalla nascita di 14 figli, che l’hanno circondata di familiari, delle cui vicende non perde un colpo: l’ultimo messo a segno sabato scorso con la partecipazione al matrimonio di uno dei suoi 58 tra nipoti e pronipoti. Di ottimismo ed esuberanza Consola ha riempito la sua vita: solo poco tempo per la scuola (seconda elementare), ma una rendita culturale sufficiente su cui costruisce ancora oggi la lettura dei libretti religiosi ben ordinati sul suo comodino. Gran parte della giornata di bambina vissuta in campagna: zappare, raccogliere legna, curare l’orto. Ritmi forsennati fin dalle quattro del mattino, perché bisogna aiutare la mamma nelle faccende domestiche e accudire i fratellini più piccoli che nascono in serie. A quattordici anni entra in 'azienda'. «Babbu miu aveva una bottega di generi alimentari. Una volta la settimana – racconta Tzia Consola – saltavo sul cavallo di casa e andavo, da sola, a Ierzu, il più importante paese del circondario, per rifornire la bottega, soprattutto di farina. Il ritorno a piedi per non sovraccaricare il cavallo. 23 chilometri per strade allora poco trafficate. Con una parola d’ordine per prevenire malintenzionati: 'Mi sta seguendo mio zio'». Le feste paesane nella piazza della chiesa di San Pietro erano l’occasione per rompere in parte le fatiche quotidiane: «Qualche giorno dovevo trasportare dalla campagna a casa, cioè 2 chilometri, sacchi con 30 chili di ghiande». Una festa in particolare: il 12 settembre, 'sa die de su strangiu', il giorno dell’ospite, festeggiato con 'su pani pintau', il pane bianco disegnato. Consòla era lì per ballare: «Mi piaceva molto». A 19 anni sposa Giovanni Lai, di cui è rimasta vedova nel 1968. Il matrimonio porta in dote altro lavoro: cura dei figli, dell’orto, ancora campagna, una volta la settimana levataccia alle tre del mattino per impastare e cuocere il pane per tutta la settimana.  Non sembra ci siano particolari segreti in questa donna inserita in una società quasi deleddiana. Nessun elisir di lunga vita. A meno che non si voglia attribuire questa miracolosa proprietà a una dieta semplice e radicale: da lunedì al sabato pasto unico a base di minestrone e 'cassola'. Il primo fatto con i prodotti dell’orto familiare, la seconda uno stufato di patate e fagioli con olio della casa. Condimento? L’aria, la luce, la terra, i ritmi di vita della campagna ogliastrina. Tzia Consòla pare non abbia mai bevuto un bicchiere di latte a lunga conservazione, ma non rinuncia a un pezzo di formaggio stagionato, «purchè fatto con il latte di capre allevate in zona», precisa la nonnina. «Mangia di tutto», dicono le figlie Narcisa, Caterina e Carolina, che a turno l’assistono nell’antica casa, ovviamente rimodernata, dove l’ultracentenaria ha vissuto dal giorno del matrimonio. Qualche nipote precisa i gusti della nonna: «Il piatto prelibato è 'sa trattalia', le interiora  di agnello rosolate con la cipolla ». Consolata Melis non gira al largo dei medici, ma qualche gene speciale le consente risorse che la tengono lontano da cliniche e ospedali. «Solamente due volte – ricorda – vi sono finita: a 85 anni per un’appendicite e poi per una frattura al piede». Tutto qui. Anzi non poche persone ricorrono a tzia Consola per le sua capacità manipolatorie: rimette a posto distorsioni e slogature. Fino all’età di 90 anni non perdeva una funzione religiosa: mattino e pomeriggio in chiesa. Ora 'is devozionis' – le preghiere del rituale quotidiano – in poltrona, a letto (la corona del rosario sempre sotto il cuscino), qualche volta in compagnia di 'Radio Maria'. 107 anni sono tanti. «Ringrazio il cielo. Non ho paura di morire. Ho paura – dice – di restare sola, mentre sto morendo. Ma mi affido al Signore, a 'su Maistru mannu', al Maestro grande come tzia Consolata Melis chiama il buon Dio.