Attualità

Anno giudiziario. Allarme su abuso di social, femminicidi, stalker e baby gang

Redazione Romana venerdì 26 gennaio 2018

«L'abuso dei mezzi di comunicazione e degli strumenti di partecipazione sociale messi a disposizione dalla Rete costituisce un fenomeno crescente e preoccupante. Da un lato è violato il diritto della collettività a essere informata in maniera corretta, dall'altro sono messi in moto meccanismi di diffusione sociale delle notizie che possono arrecare, anche inconsapevolmente, danni a soggetti terzi». A lanciare l'allarme sulle fake news è il primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone nella relazione per l'anno giudiziario. Ad avviso di Mammone, «il fenomeno può essere contrastato validamente, oltre che con le tradizionali forme di tutela giudiziaria, con al prevenzione, contrastando l'abuso prima che si realizzi il danno». «Deve pertanto aumentare la consapevolezza degli utenti circa i pericoli della disinformazione e deve incrementarsi mediante un appropriato monitoraggio la conoscenza delle fonti di abuso». È la prima volta che il tema dell'abuso dei media e dei social viene messo in primo piano, nella relazione per la cerimonia di apertura dell'anno giudiziario. Mammone ritiene «di notevole allarme sociale il fenomeno del cosiddetto femminicidio, che è indice della persistente situazione di vulnerabilità della donna e di una tendenza a risolvere la crisi dei rapporti interpersonali attraverso la violenza». L'aumento dei reati per violenza sessuale e «per atteggiamenti persecutori verso il partner (stalking)». Ed è «allarmante il fenomeno delle aggressioni violente e immotivate messe in atto da giovanissimi a danni di coetanei». «Si tratta di vicende - spiega Mammone - che non solo impegnano la polizia giudiziaria e la magistratura ma che coinvolgono le famiglie, i servizi sociali e e gli enti incaricati della tutela delle vittime. Al fronte del moltiplicarsi dei fenomeni la risposta esclusivamente repressiva si rivela inefficace. La materia nel suo complesso, per il suo preoccupante sviluppo, è meritevole di una considerazione legislativa unificante, che superi la parcellizzazione dei comportamenti sul piano della tutela
penale, la quale dà luogo sovente a fattispecie di reato obiettivamente minori, perché punite con pene di modesta entità».

Intanto la Procura generale della Cassazione non fa alcuna «valutazione di sistema» delle linee portanti della riforma in materia di intercettazioni, il cui decreto legislativo è stato approvato il 29 dicembre scorso, ma «apprezza fin d'ora il fil rouge assiologico che informa l'intervento riformatore, sicuramente rinvenibile in una più intensa tutela del diritto fondamentale alla riservatezza dei cittadini». È analisi del Pg della Suprema Corte Riccardo Fuzio che richiama l'attenzione «sul divieto di trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni ritenute irrilevanti per le indagini, sia per l'oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge; una più attenta e analitica disciplina della conservazione e della selezione dei materiali intercettati; e una disciplina per il cosiddetto captatore informatico in dispositivi telefonici portatili (il
trojan horse) senza deflettere sull'efficacia e operatività del mezzo tecnico». Per Fuzio è importante l'accentuazione del ruolo del pm «quale garante della riservatezza della documentazione compendio dell'intercettazione», esaltandone «la funzione propulsiva e di effettiva direzione dell'attività di questa delicata indagine tecnica».

«Va posta in evidenza la progressiva percezione di arretramento dei valori di deontologia che accomuna non solo le magistrature ma anche la classe forense, come rileviamo con la nostra partecipazione alle udienze degli organi disciplinari degli avvocati», ha detto il pg di Cassazione, secondo cui «ciò pone all'attenzione di tutti la necessità di investire maggiormente nella formazione degli aspiranti a queste professioni ma, ancor prima, nella stessa educazione nelle scuole per anticipare la conoscenza dei diritti e doveri che la nostra Costituzione riconosce e pretende da ogni cittadino».

E a proposito delle azioni
disciplinare avviate nei confronti dei magistrati si registra una lieve riduzione. Nel 2017 - ricorda Fuzio - sono state esercitate in totale 149 azioni disciplinari (quando nel 2016 erano 156), di cui: 58 per iniziativa del ministro della Giustizia (in diminuzione del 22,7% rispetto al 2016, in cui erano 75) e 91 per iniziativa del Procuratore generale (erano 80 nel 2016, in aumento quindi del 13,8%). «Il totale delle azioni è ripartito, in percentuale, tra il 38,9% di iniziative del ministro e il 61,1% della Procura generale. I procedimenti disciplinari definiti nel 2017 si sono conclusi: nel 65,6% dei casi, con la richiesta di giudizio; nel 28,9% dei casi, con richiesta di non farsi luogo al giudizio; nel restante 5,6%, con riunione ad altro procedimento. La percentuale di procedimenti inviati al Csm con la conclusione nel senso della richiesta di giudizio risulta quindi in aumento rispetto alla media del quinquennio 2012-2016 (60,4%). Nel corso del 2017, la Procura generale ha chiesto alla Sezione disciplinare del Csm l'adozione di sei provvedimenti cautelari (erano dieci nel 2016), dei quali tre per il trasferimento ad altro ufficio e tre con richiesta di sospensione dalle funzioni».

Le «riforme di questi anni indicano non solo un cambio di passo, ma un percorso ben definito, su cui è auspicabile evitare incertezze e ripensamenti. Anche nel rapporto tra politica e magistratura». A dirlo è il ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel suo intervento per l'anno giudiziario in Cassazione. «Dopo molti anni di ritardi e oggettive carenze della politica, dopo anni in cui la
fisiologica divergenza di opinioni e di responsabilità sfociava nel conflitto tra magistratura e politica, il Parlamento, i governi che si sono succeduti nella legislatura e l'amministrazione tutta - ha osservato Orlando - hanno messo a disposizione adeguati strumenti legislativi, e attivato i processi per avere investimenti e organici finalmente commisurati alle esigenze. Questo ha consentito di superare la paralisi e di affrontare alcuni temi, penso per esempio alle intercettazioni, che hanno fornito la cartina di tornasole di
un modo di intervenire con equilibrio anche su ambiti problematici attraverso il merito del confronto».


Quest'anno, per la prima volta, alla solenne cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario che si tiene in Cassazione c'è anche
una rappresentanza di studenti. La partecipazione degli studenti, che sarà replicata anche domani nelle cerimonie che si terranno in tutti i distretti di Corte d'appello, è stata voluta dal Csm. Ed è stata resa possibile dall'adesione all'iniziativa del ministero dell'Istruzione e dei presidenti di Cassazione e Corti di appello. Con gli studenti «si fa memoria e si rafforza il dialogo degli uffici giudiziari con i cittadini, con le nuove generazioni in particolare, così rinsaldando il contatto e, spero, la fiducia nella magistratura». Così il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, salutando gli studenti del liceo Dante Alighieri presenti nell'Aula Magna del
Palazzaccio per l'inaugurazione dell'anno giudiziario in Cassazione. Il Csm «si è speso affinché, per la prima volta, le inaugurazioni dell'anno giudiziario in Cassazione e in tutti i distretti, fossero aperte alla presenza degli studenti: dunque la direzione opposta e
contraria rispetto a quella imboccata durante il Ventennio fascista. Ringrazio i presidenti della Corte di Cassazione, delle Corti di appello e il ministero per l'Università e la Ricerca - ha concluso Legnini - per aver immediatamente aderito e per essersi fatti carico in pochi giorni di non minimi profili organizzativi connessi a questa apertura ai giovani della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario».