Attualità

Legalità. Migranti in attesa di regolarizzazione. Basta alibi, si cambi passo

Paolo Lambruschi giovedì 4 marzo 2021

la tendenza in Alcune questure tendono a non applicare ai richiedenti asilo la protezione speciale prevista dal decreto Lamorgese. Nella foto la ministra degli Interni

La regolarizzazione per gli stranieri irregolari, partita lo scorso 1° giugno, ha subito denotato un grosso limite iniziale. Nata su sollecitazione della società civile e per iniziativa dell’allora ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova, ex bracciante, doveva coinvolgere nelle intenzioni dei promotori, oltre ai raccoglitori di frutta e verdura nelle campagne del Belpaese, anche settori tradizionalmente interessati dallo sfruttamento della manodopera priva di documenti. Così il dibattito lanciato poco meno di un anno fa dalla società civile includeva muratori e manovali irregolari nei cantieri, gli addetti a vario titolo del commercio e della ristorazione senza permesso oltre ai lavoratori domestici, colf e badanti, in nero.

Sembrava un atto di giustizia necessario per ripartire meglio tutti insieme, un riconoscimento a chi durante il lockdown nazionale aveva comunque lavorato, consentendo l’approvvigionamento delle derrate alimentari e contribuendo al funzionamento delle attività essenziali. Perché, nonostante i proclami e la buona volontà di alcuni e nonostante la pandemia sociale, l’aumento paventato di manodopera italiana rimasta senza lavoro in questi settori non c’è stato. È stata l’opposizione di una parte di M5s a limitare i comparti produttivi all’agricoltura, alla pesca e al lavoro domestico.

Le domande presentate dai datori di lavoro la scorsa estate sono state complessivamente 207.542, di cui 177mila nel settore domestico (85%). Secondo elaborazioni della Fondazione Moressa, a livello territoriale, il 90% delle regolarizzazioni si è concentrato in 10 Regioni, tra le quali Lombardia (47mila), Campania (26mila), Lazio (19mila) ed Emilia-Romagna (18mila). Quindi, seppur rimanga uno strumento politico discutibile, la "sanatoria" dovrebbe avere un impatto significativo almeno per il lavoro nelle case.

Però diverse Caritas diocesane da nord a sud, oltre a confermare i dati pubblicati dai curatori del rapporto di "Ero Straniero", hanno segnalato alla sede nazionale dell’organismo pastorale della Cei, come ci spiega il responsabile nazionale dell’area immigrazione Oliviero Forti, «la lentezza preoccupante con la quale si sta procedendo negli appuntamenti. Giustificata dalle autorità preposte con l’emergenza sanitaria e la mancanza di risorse, ma insostenibile per i problemi che un periodi di attesa così lunghi comportano per i lavoratori».

I quali, anche se non rischiano un’espulsione grazie al tagliando di ricevuta della domanda di regolarizzazione, restano comunque "semi-invisibili" sospesi nel limbo quotidiano dei diritti, dal quale volevano uscire insieme ai datori.

Anzitutto per l’impossibilità di stabilire una residenza iscrivendosi all’anagrafe e aprire un conto corrente bancario o postale. Poi per quella, ad esempio, di beneficiare al momento opportuno, se irregolari, della vaccinazione anti-Covid indispensabile per lavorare tutti i giorni nelle case degli italiani o assistere anziani, disabili e bambini. Altre limitazioni sono il non poter cambiare lavoro o cercarne un altro se, ad esempio, la persona curata è deceduta o è stata ricoverata in Rsa.

Preoccupa anche, secondo Caritas,
la tendenza a non applicare la protezione speciale voluta da Lamorgese

Sempre dalle Caritas diocesane arriva la conferma che a livello territoriale le autorità preposte stanno cercando di correre ai ripari, procedendo al reperimento di personale interinale per il disbrigo delle pratiche burocratiche e provare ad abbattere il ritardo enorme accumulato.

Ma c’è un’ulteriore criticità segnalata in queste settimane in un versante apparentemente diverso, ancora dalle antenne della Caritas.

È la tendenza in alcune Questure a non applicare ai richiedenti asilo la protezione speciale prevista dal decreto Lamorgese che in questi casi le Commissioni asilo devono ora girare ai responsabili di pubblica sicurezza, nella logica di svolgere accertamenti più accurati che dissipino le ombre e le annose polemiche sul numero dei procedimenti respinti e i ricorsi.

Chiedono una circolare applicativa della nuova normativa e intanto continuerebbero ad applicare i decreti Salvini, abrogati dalla nuova legge per la loro provata inefficacia. Anche in questa circostanza la mancanza di personale è la spiegazione fornita, ma urge un cambio di passo per evitare che diventi un alibi.