Legami con il terrorismo islamico e un
possibile impegno diretto nell'azione di proselitismo. È il
sospetto che ha portato
all'espulsione di due tunisini e un
marocchino dall'Italia.
Provvedimenti che arrivano a pochi
giorni di distanza dall'allontanamento dal territorio nazionale
dell'ex campione della giovanile italiana di cricket Aftab
Farooq, il magazziniere pachistano accusato di essere un
aspirante combattente dell'Isis.
E che fa salire a 107, a
partire dal 2015, il numero dei rimpatri forzati per ragioni di
sicurezza dello Stato. Un dato che conferma, secondo il ministro
Angelino Alfano che ha firmato i provvedimenti, "l'intensa
attività di prevenzione per abbassare il più possibile il
livello di rischio in Italia, pur nella consapevolezza che
nessun Paese, oggi, può dirsi a rischio zero".
I due tunisini hanno lasciato l'Italia con un volo partito da
Catania e diretto a Tunisi. Dalle indagini a loro carico "sono
stati accertati legami con movimenti terroristici oltre a vari
elementi che li hanno tratteggiati come soggetti socialmente
pericolosi", spiega il titolare del Viminale.
Passati al
setaccio i loro profili Facebook e telefoni cellulari "sono
emersi anche contatti con persone palesemente sostenitrici
dell'estremismo religioso di matrice islamica e, specificamente,
con il gruppo islamista Jabat al Nusra". Un quadro che "ha
indotto i nostri investigatori a ritenere che i due cittadini
tunisini potessero essere impegnati nella diffusione del
messaggio radicale con finalità di proselitismo, oltre che
legati, in qualche modo, a persone appartenenti a formazioni
estremiste".
Stesso identico quadro per il marocchino espulso in
serata. 34 anni, residente a Fidenza in provincia di Parma
"aveva postato e condiviso sul proprio profilo Facebook
contenuti che ne hanno evidenziato la fascinazione per IS.
Inoltre, era in contatto virtuale con internauti dello stesso
orientamento, tra cui verosimilmente due miliziani
dell'organizzazione terroristica" precisa il ministro Alfano.
Intanto si difendono gli imam genovesi indagati per
associazione con finalità terroristiche nell'inchiesta della
procura che ha portato
all'arresto di un giovane siriano di 23
anni che stava per arruolarsi tra le fila del gruppo qaedista
Al-Nusra: "predichiamo la pace, sempre", "siamo contro il
terrorismo".
L'attenzione degli inquirenti è puntata soprattutto
su uno di loro,
l'albanese Blender Breshra, ritenuto il capo
della cellula che stava per nascere in città. Sotto la lente di
ingrandimento ci sono una serie di viaggi che l'imam ha fatto
quest'anno soprattutto in due Paesi colpiti dai recenti
attentati, Francia e Germania, e che fanno pensare anche perchè
l'uomo non svolge alcuna attività lavorativa.
Sotto esame è
anche il gruppo creato su WhatsApp, dove il giovane siriano
arrestato criticava l'attendismo di una certa parte del
sunnismo per non aver portato ancora l'attacco al cuore dello
sciismo in Iran. E gli inquirenti guardano con sospetto all'uso
da parte dell'imam di applicazioni di messaggistica per
smarthphone difficili da intercettare, alla "schermatura"
internet della nuova moschea creata a Sampierdarena, e alle ore
passate dentro internet point: forse "stratagemmi" per
contattare in massima sicurezza personaggi pericolosi e fare
proselitismo via web. Breshra però si difende: quel giovane "non
ha mai parlato con me dell'arruolamento, è venuto qui per una
visita e a fare la preghiera". Fratelli d'Italia, intanto,
chiede che siano chiusi i centri di culto genovesi dove
predicano i tre imam indagati.