Attualità

Coronavirus. Nessuna prevenzione per milioni di profughi. Si teme la catastrofe

Nello Scavo lunedì 6 aprile 2020

Uganda, folla alla distribuzione di acqua potabile

Una fonte d'acqua ogni 250 persone. Una doccia ogni 500 profughi. Meno di 4 metri a testa per poter stare al mondo. Nelle terre dimenticate, dove manca tutto, il Coronavirus potrebbe fare più morti di un bombardamento. Dallo Yemen ai campi profughi del Bangladesh, dalla Siria al Sud Sudan “nelle prossime settimane e mesi il virus potrebbe avere un impatto catastrofico nei Paesi già devastati da conflitti, epidemie e malnutrizione”, prevede Paolo Pezzati, esperto di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie.
A questo scenario vanno aggiunte le ricadute per i contesti in cui si sopravvive senza acqua pulita o strutture sanitarie. Milioni di persone in Paesi dell’Africa centrale, meridionale e orientale non hanno cibo a sufficienza “e sono inimmaginabili per loro le conseguenze dell’epidemia”, osserva Pezzati.

Secondo l’Ong nella maggior parte degli accampamenti le condizioni di vita sono l’esatto contrario di quanto occorrerebbe fare per bloccare la pandemia: “In media in molti campi oltre 250 persone costrette a condividere 1 sola fonte d’acqua pulita, con meno di 3 metri e mezzo quadrati di spazio vitale a testa”. E in molti casi “non sono rispettati nemmeno i criteri minimi concordati con le organizzazioni umanitarie per la fornitura idrica e lo spazio fisico che dovrebbe essere garantito ad ogni persona”. Ancora peggio nei campi di prigionia in Libia o sulle isole greche, dove vivono ammassate oltre 40mila persone in spazi ristretti e in condizioni igieniche spaventose.

Ancora peggio vanno le cose nel Cox’s Bazar, in Bangladesh, dove vivono 40mila profughi Rohingya per chilometro quadrato. Malnutrizione, colera, dissenteria e tifo sono già la quotidianità. Il Covid sarebbe il colpo di grazia, provocando focolai che si estenderebbero all’intera divisione di Chittagonga, nel Golfo del Bengala, dove vivono circa 30 milioni di persone.
Più vicino a noi, sull’isola di greca di Lesbo, la cittadella dei profughi a Moria era stata concepita per 3mila migranti e profughi. Ce ne sono 20 mila: 1 bagno (sporco) ogni 160 persone, 1 doccia ogni 500, 1 fonte d’acqua ogni 325. Nonostante si tratti di una struttura finanziata dall’Unione europea, “praticamente non c’è sapone per lavarsi nemmeno le mani e 15 o 20 persone - ricorda Oxfam - sono costrette a vivere ammassate insieme in singoli container o in alloggi di fortuna”. Attualmente sono oltre 70 milioni i fuggitivi nel mondo a causa di persecuzioni, conflitti, violenze e violazioni di diritti umani. Di questi, “più di 20 milioni – ricorda Unhcr-Acnur - sono rifugiati”, oltre l’80 per cento accolti da Paesi a basso o medio reddito, con “sistemi di assistenza medica, di approvvigionamento idrico e servizi igienico-sanitari meno efficienti”.

A Gaza dove si registrano i primi 10 casi di infezione, la densità della popolazione è di 5.000 persone per chilometro quadrato, con soli 70 posti di terapia intensiva per 2 milioni di abitanti. In Yemen funziona solo il 50% delle strutture sanitarie in cronica carenza di medicine e personale con più di metà della popolazione - 17 milioni - che non ha accesso all’acqua pulita. Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per raccogliere 2 miliardi di dollari per finanziare un piano di risposta globale al corona virus nei paesi più vulnerabili.

Perciò Oxfam chiede ai leader del G20 di intervenire con un piano di azione globale. In questi giorni l’organizzazione è intervenuta in aiuto di 118.000 profughi Rohingya in Bangladesh e Myanmar, mediante distribuzione di acqua, sapone e kit igienico-sanitari e attraverso la promozione di buone pratiche igieniche. Altri 76mila rifugiati siriani vengono assistiti nel campo di Za’atari, in Giordania, e in Iraq è in corso la ricostruzione di un ospedale che dovrebbe assistere circa 50mila persone, mentre in Burkina Faso vengono messi in funzione 107 punti di raccolta acqua. Complessivamente un piano di interventi per 100 milioni di euro, con l’obiettivo di soccorrere 14 milioni nelle comunità più vulnerabili di 50 Paesi. Prima che sia troppo tardi.