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Il vescovo che ascolta le prostitute. Lojudice: «La pastorale anche sulle strade»

Antonio Maria Mira domenica 3 febbraio 2019

Il vescovo ausiliare del settore Sud di Roma, Paolo Lojudice, insieme ad alcuni volontari impegnati nel progetto del “venerdì sera” sulle strade della città. In primo piano una delle ragazze aiutata a lasciare il marciapiede

«È una parte di Popolo di Dio che noi guardiamo solo da lontano, con la coda dell’occhio, commiserandole o disprezzandole. Ma la pastorale deve abbracciare tutta la realtà del territorio. Anche queste ragazze». Così il vescovo ausiliare del settore Sud di Roma, Paolo Lojudice, spiega gli incontri settimanali con le prostitute.

Come avete cominciato?
Con un appello a parroci e laici durante il Giubileo della Misericordia. Nel giorno che ricorda santa Bakita feci leggere nelle parrocchie una preghiera in cui auspicavo un’attenzione anche per queste ragazze. Abbiamo organizzato un corso di formazione, per sacerdoti e laici. Ne è venuto fuori un gruppetto al quale poi si sono aggiunte altre persone.

Qual era l’idea iniziale?
È quello che dico ai parroci: guarda a tutto il tuo territorio e non solo alla gente che vive nelle case. È l’idea di un’attenzione capillare a tutte le situazioni. Anche le ragazze sul marciapiede. In qualche modo la comunità parrocchiale deve farsi carico di loro come dei ragazzi dei ghetti, degli sbandati della movida, del barbone che vive per strada. È un’esperienza pastorale un po’ a perdere, però è un piccolo segno di presenza. La comunità non può far finta che non esistano.

Reazioni negative ci sono state?
Alcuni abitanti si sono lamentati con me dicendo «pensate a loro ma non a noi che per entrare nei portoni dobbiamo passare davanti a loro coi bambini che vedono questo schifo». Una ragionamento che ci può stare, perché i problemi sono complessi. E, lo ripeto, l’iniziativa non risolve ma, tra risolvere il problema e tirare dritto ignorandolo, almeno le avviciniamo, le facciamo sentire non solo scarti o oggetti da usare.

Come sta andando?
Non si va lì a fare l’assistente sociale o lo psicologo. Porto un po’ di Vangelo, si prega, perché il Signore faccia qualcosa nel loro cuore. All’inizio i volontari dicevano: «Che facciamo? Cosa diciamo? ». Adesso sono scioltissimi. Prima passavano e cambiavano marciapiede, adesso le salutano dall’auto.

E cosa avete capito di loro?
Bisogna aver chiara la drammaticità della situazione. Se non fanno questo lavoro tornano a morire di fame. Questo non giustifica ma il dato è oggettivo. Tutte vengono da zone della Romania dove si fa la fame.

Ma che altro si può fare?
Stiamo pensando a luoghi dove poter ospitare, anche per una notte, le ragazze che vogliono uscirne. Già una l’abbiamo aiutata assieme alla Giovanni XXIII. Altre quattro ci hanno chiesto di poter tornare a casa. Le abbiamo aiutate sia economicamente che per i documenti. Due ci hanno chiamato dicendo di stare meglio.