Attualità

Istituzioni ferme. Adozioni estere: verso la riforma per un rilancio

Viviana Daloiso - Inviata a Firenze sabato 20 ottobre 2018

Adozioni internazionali

Ripensare alle adozioni. Nonostante sia difficile. Nonostante i costi, i tempi, le difficoltà coi Paesi stranieri. Nonostante l’incertezza sul futuro delle istituzioni preposte ad occuparsene, la mancanza pressoché totale di una strategia politica e – ora – persino l’ostinazione di chi vorrebbe trasformare il Paese in un luogo chiuso all’accoglienza degli stranieri.

Non importa se sono bambini. Si può ricominciare dai numeri, che per la prima volta non aprono una nuova ferita. Laura Laera, vicepresidente della Commissione adozioni internazionali, ieri li ha presentati a Firenze – nella storica cornice dell’Istituto degli Innocenti – davanti a una platea mai così numerosa di operatori, esperti arrivati da ogni parte d’Italia e da molti Paesi esteri, famiglie e genitori. Dopo anni di emorragia, nel 2018 si sta registrando una sostanziale stabilizzazione del numero di coppie adottive e di bimbi adottati nel nostro Paese: tra il primo semestre dell’anno scorso e il primo di quest’anno si nota una diminuzione in termini assoluti di soli 11 casi di coppie adottive (erano 512 nel 2017, sono 501 nel 2018).

Andamento che si conferma anche tra i minorenni entrati nel nostro Paese: erano 617 nel 2017, sono 603 nel 2018. Non c’è da gioire. I dati hanno registrato una crisi su scala globale, con le adozioni internazionali che dal 1995 al 2016 sono passate nel mondo da 22mila e 11mila (in Italia, tanto per fare un raffronto, nel 2010 erano entrati oltre 4mila bambini). E questo a fronte di un numero di minori in abbandono che non diminuisce affatto: resta fermo, ed è impressionante, a quasi 3 milioni.

Ma il mondo è cambiato – le normative più restrittive hanno “filtrato” le pratiche, molti Paesi si sono chiusi, molti altri hanno aumentato il numero di adozioni interne, relazioni familiari e tendenze culturali sono cambiate – e allora, forse, è il momento di cambiare anche le adozioni. Ma come? Il tema ha animato – e anche diviso – gli Stati generali di Firenze. «Quello che come Cai stiamo facendo è riallacciare rapporti con molti Paesi d’origine – ha spiegato Laera –. Stiamo sottoscrivendo un accordo con la Slovacchia, il Benin si è attrezzato e da ottobre è operativo, con la Cambogia abbiamo ripreso i rapporti e giungeremo probabilmente alla sottoscrizione dell’accordo bilaterale già a inizio 2019». Aprirsi non basta ancora.

«Serve provare a immaginare, e lo dico rivolgendomi ai molti colleghi dei tribunali dei minori che vedo seduti in sala – ha continuato Laera –, nuove formule, più flessibilità». L’esempio della vicepresidente della Cai è quello della Bielorussia, da cui per altro nel 2018 sono stati adottati 140 bambini: «Molti di questi percorsi adottivi sono cominciati nella formula dei soggiorni terapeutici». I bambini, cioè, venivano ospitati in Italia per dei periodi brevi e proprio questo strumento, che con l’adozione non c’entra nulla dal punto di vista giuridico, «ha poi portato invece alla costruzione di percorsi adottivi di successo».

È una suggestione. A cui gli enti aggiungono le loro proposte: da Aibi al Ciai fino a Cifa c’è chi spinge sulle cosiddette “vacanze preadottive” (vere e proprie vacanze che i bambini adottabili potrebbero passare in Italia insieme a una coppia che ha già in mano l’idoneità all’adozione), chi sull’affido internazionale, chi ancora sull’adozione aperta (che prevede non siano interrotti i rapporti tra adottato e figure parentali originarie). C’è anche chi ha paura, chi teme che spingere l’acceleratore su questa commistione possa aprire a pratiche illegali, chi insiste sulla formazione delle famiglie.

Uno spunto decisivo lo offre la relazione dettagliata di Stefania Congia, dirigente della Divisione di Politiche di integrazione sociale e lavorativa dei migranti e tutela dei minori stranieri presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, facendo il punto sui minori accolti temporaneamente in Italia nell’ambito dei programmi solidaristici di accoglienza (per intenderci quelli nati negli anni Novanta sull’onda dell’incidente di Chernobyl).

Dal 2000 al 2017 nell’ambito di questi progetti il nostro Paese ha infatti accolto 560mila minori (10mila nel 2017), grazie allo sforzo straordinario – e volontario – concentrata soprattutto nei piccoli comuni (che rappresentano oltre il 70% degli ospiti, da Nord a Sud fino alle isole): «Finora ci siamo mossi sull’assoluta incompatibilità tra questi programmi e le adozioni – ha spiegato Congia –, ma la domanda da porsi è se questo ha ancora senso, visto che in alcuni Paesi la procedura di adozione è invece preceduta proprio da queste esperienze». E al dato dirompente dell’Italia delle famiglie che può e vuole accogliere (a cui si aggiunge la innovativa formula delle tutorship per i minori stranieri non accompagnati) si accompagna un sostanziale stallo politico: nessuna misura all’orizzonte, un piccolo passaggio riferito alla necessità di “snellire le pratiche” nel Def e il messaggio consegnato al convegno di Firenze dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sulla “disponibilità” del governo al dialogo. Mentre la Commissione rischia di restare senza vicepresidente – Laera è in scadenza, e andrebbe riconfermata con un decreto ad hoc – già a novembre.