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IL DOLORE DI UNA CITTÀ. L'abbraccio di Genova ai suoi «angeli» Bagnasco: mai più tragedie

Paolo Viana mercoledì 15 maggio 2013
Che non accada mai più. Decine di migliaia di labbra l’hanno ripetuto, tra via San Lorenzo e piazza De Ferrari, da via Roma a Brignole, nei carrugi e al porto, davanti ai maxischermi e ai televisori. Tutta Genova si è fermata per salutare i suoi “angeli”, i caduti della torre dei Piloti. Hanno suonato le loro sirene le navi ancorate vicino alla Jolly Nero; hanno risposto quelle alla fonda in tutta la Liguria, da Savona alla Spezia. «Che non accada mai più» aveva appena scandito l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco. Più che un’omelia, era una preghiera al Cielo, la preghiera di un genovese ferito. L’addio di Stato è avvenuto in un pomeriggio buio e silenzioso. Anche la pioggia si è fermata davanti al dolore umano. Al pianto del presidente Giorgio Napolitano in cattedrale, a quello dei cittadini accalcati nelle strade. Il corteo funebre che ha seguito la Messa sembrava l’onore delle armi reso da un Paese che non ha saputo difendere i suoi figli. «È un momento triste per tutti noi e per l’Italia» ha ammesso il presidente della Camera Laura Boldrini infilandosi nella cattedrale di San Lorenzo, insieme al ministro della difesa Mario Mauro. Gremita la chiesa, gremite le piazze del centro storico, dove il transito delle bare è stato accompagnato da un interminabile applauso. La città che mercoledì scorso si era risvegliata di fronte al disastro, che per sette giorni si è domandata se si possa morire per una manovra sbagliata o un contagiri rotto, che ha sperato fino all’ultimo di veder restituire almeno i corpi delle nove vittime, ieri non ha potuto fare altro che stringersi intorno alle famiglie distrutte. Soprattutto a quella del sottufficiale Gianni Iacoviello. Il suo corpo è ancora sotto le macerie della torre speronata. In chiesa c’erano solo otto bare, avvolte nel tricolore della Marina. Sul nono catafalco un berretto della Guardia Costiera e un pallone da basket ricordavano quali fossero le grandi passioni dell’ultimo disperso di questo disastro incredibile. Seduti al primo banco, il più vicino ai feretri, c’erano i genitori, la fidanzata, le sorelle gemelle di Iacoviello. Una pietà michelangiolesca: il padre Flavio, granitico e paonazzo, le ha sorrette tutte; quando hanno pronunciato il nome del suo Gianni, quando il trombettiere ha intonato il silenzio, quando è stata letta la preghiera del marinaio, quando l’arcivescovo ha presentato il Paese che «di fronte a tanto dolore s’inchina e invoca che mai più accada». Le ha sorrette anche durante la benedizione delle bare, quando si è accasciato sul banco, sotto gli occhi del presidente della Repubblica, commosso e terreo. Napolitano li aveva abbracciati con le altre famiglie poco prima della Messa e al termine il cardinale Bagnasco si è avvicinato alla madre di Iacoviello per salutarla con una carezza, come avrebbe fatto poco dopo con gli altri famigliari delle vittime. È solo allora che papà Iacoviello si è sentito male e ha lasciato piazza San Lorenzo in ambulanza. Le salme degli otto marittimi erano entrate in cattedrale sulle spalle dei loro colleghi, piloti, radiotelegrafisti, militari. Ad accompagnare il telefonista Maurizio Potenza c’era anche Bruno Prinz, il collega che gli aveva ceduto il turno in quella sera fatale. Il dolore bussa «improvviso e impietoso» alla nostra porta, ha ammonito Bagnasco, il quale ha concelebrato le esequie con l’ordinario militare, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi e i vescovi di Chiavari, Alberto Tanasini, e della Spezia, Luigi Palletti. Il cardinale ha ricordato anche il «calore della bontà» che questi morti lasciano dietro di sé, nelle loro famiglie e nei luoghi di lavoro. Ha insistito: «La bontà crea legami». Ha esortato: «La sciagura deve diventare una prova della bontà di Genova». E ha spiegato come: «Con la capacità di far crescere il tessuto umano e cristiano, sociale e lavorativo» fino a creare una «trama di accoglienza operosa che rende più vivibile la vita e sopportabile il dolore». Ma ieri, in chiesa e fuori, tutti piangevano.​