Agorà

INTERVISTA. Williams, ultimo gentleman in F1

Paolo CIccarone venerdì 7 agosto 2009
È l’ultimo baluardo della F1 degli anni d’oro. Una scude­ria che esattamente da 40 an­ni porta il proprio nome e si con­fronta con i colossi dell’auto. Frank Williams è un’icona dei motori, u­na specie di ultimo cavaliere che scende in pista e nonostante le dif­ficoltà di una vita su una sedia a ro­telle, residuo di un terribile inci­dente stradale nel 1986 (la sua au­to si ribaltò sulla Costa Azzurra di ritorno dal circuito di Le Castellet), è sempre lì a combattere sia tra le pieghe dei regolamenti, sia che si tratti di affrontare la vita a testa al­ta e con orgoglio. Un’esperienza unica nella Formu­la 1: quasi un Drake dell’automo­bilismo inglese: sette mondiali pi­loti con 7 diversi fuoriclasse. Da A­lan Jones nell’80 a Piquet, da Man­sell a Prost all’ultimo titolo con Jac­ques Villeneuve nel 97. Altri nove mondiali costruttori. Il 2009 della F1 sarà ricordato per il lunghissimo tira e molla tra i co­struttori e la Federazione se conti­nuare tutti insieme sotto la stessa bandiera o varare un Mondiale al­ternativo. Una scissione scongiu­rata soltanto in extremis. «Credo che la gente si sia stufata di questa storia, ma siamo tutti uo­mini e per giunta con una menta­lità competitiva; per cui non mi stupisce se si è finiti in una situa­zione del genere - commenta Wil­liams - . C’è lotta tra di noi, e tra la FIA e i costruttori per il controllo delle regole. Noi siamo stati favo­revoli alla proposta del presidente Mosley di ridurre i costi del 20%: altri costruttori hanno idee diver­se, ma finalmente siamo giunti a una soluzione che ha fatto tutti contenti con la firma del patto del­la Concordia fino al 2012». Nessuno contesta la riduzione del­le spese. Il problema sta nel meto­do usato da Mosley, che essendo persona colta e intelligente forse ha usato il modo sbagliato? «Non sono d’accordo con questa osservazione. La FIA aveva propo­sto una cosa, i costruttori (guidati dalla Ferrari, ndr) un’altra e fin qui è normale. Ma Mosley è stato spin­to dalla paura dei costi sempre più elevati. Ha pensato che sarebbero rimaste tre o quattro squadre al massimo e in più la Williams: non poteva permetterselo. Poi alla fine tutto si è aggiustato». Parliamo di riduzione dei costi. L’uso del Kers, il motore elettrico che rilascia energia cinetica sup­plementare ha dato più problemi che vantaggi: è costato tantissimo e non serve, visto che le Williams vanno bene anche senza... «Non è vero che sia sta­to un costo maggiore. Il Kers era un sistema in­teressante di sviluppo anche per le auto di tut­ti i giorni; forse sarebbe stato meglio portare a­vanti le sperimentazio­ni perché era una solu­zione facilmente tra­sportabile dalla F1 alla strada, invece è stata la­sciata a sé». Sarà, ma le discussioni sui costi, le squadre che correranno o meno, al­la gente interessa poco: interessa di più sapere quale pilota andrà in quale squadra... «Da quello che so l’anno prossimo avremo di sicuro 20 macchine al via, forse saranno 26, ma venti do­vranno esserci di sicuro (che Wil­liams sappia di altri clamorosi riti­ri? ndr) e una volta risolto questo punto, il mercato piloti diventa u­na conseguenza logica. Sono in questo mondo da 40 anni e posso dirvi che non è cambiato niente, né per interesse, né per i vari mo­vimenti sportivi e politici». Tra Max Mosley e Ari Vatanen (ex campione del mondo dei rally) chi potrebbe essere il miglior presi­dente della FIA? «Max è sempre stato molto intelli­gente, conosce superbamente le regole e gli statuti, ha lavorato be­nissimo. Vatanen se diventa presi­dente dovrà imparare molto». E Jean Todt come presidente? Lei come lo vede? «No comment. Ha controllato la Ferrari per 15 o 16 anni: impossi­bile che sia del tutto imparziale». Parliamo di piloti, se potesse pren­derne due di suo gradimento, su chi cadrebbe la scelta? «Dipende da cosa vogliamo fare. Se dobbiamo rispettare dei budget ri­gorosi o se ci sono pressioni degli sponsor; ovvero se ci serve un cam­pione e un giovane da seguire per farlo crescere e ottenere i risultati. L’unica squadra che oggi ha fatto questo è la Brawn con Jenson But­ton. Ma se potessi scegliere io libe­ramente, direi che ammiro enor­memente Raikkonen e Alonso: non in ordine di velocità e importanza, sia chiaro. Alonso somiglia in ma­niera incredibile a Nigel Mansell: è un pilota che trasmette nell’abita­colo la sua energia, la puoi sentire e vedere. Si vede che dà tutto stes­so durante le gare: questo mi pia­ce tantissimo». Se le piacciono i piloti di cuore, Raikkonen non entra nella lista vi­sto che è uno freddo e distaccato… «Non ho detto che mi piacciono solo i piloti di cuore. Raikkonen, ad esempio, ha una grande capacità nel controllo dell’auto ed è velo­cissimo: forse nessuno è uguale a lui in quanto a velocità». Cosa pensa del ritorno al volante di Michael Schumacher? «Mi sembra una cosa davvero in­teressante: per quanto mi riguarda gli dò sinceramente il bentornato in un mondo dove lui ha dato da­to e dove sono convinto potrà da­re ancora molto». Cosa spinge, invece, Frank Wil­liams ad accettare tutte le mattine la sfida della F.1? Il suono di un motore? I soldi che si possono gua­dagnare? «Amo la F1, è il mio lavoro. E al tem­po stesso una passione: vivere le proprie passioni, facendole diven­tare un lavoro, è un vero privilegio. Posso dire che una squadra come la mia, che è una piccola realtà in confronto ai colossi dell’auto, de­ve affrontare rischi fi­nanziari pazzeschi che una compagnia norma­le non penserebbe mai di fare. Questo ti tiene sveglio e ti fa pensare molto». Il momento più brutto della sua esperienza di team manager: il dram­ma in pista di Ayrton Senna nel ’94 o quando agli inizi, nel 1970, morì il suo primo pilota, Piers Courage? «Avevo la stessa età di Piers, eravamo cresciu­ti insieme, eravamo a­mici. Ero più giovane ed è stato uno choc terribile, che poi ho rivissuto con Senna. Il proces­so per la morte di Ayrton? Era giu­sto aprire una indagine per cono­scere tutti i dettagli di quella trage­dia. La sfortuna ha voluto che ci fossi io al posto dell’indagato...». Frank Williams e la fede: un valo­re che lei ha sempre dichiarato im­portante. «Sì, sono cattolico, anche se am­metto di essere molto indolente: le domeniche necessariamente le passo in pista a seguire le corse o in officina a lavorare. Mi auguro so­lo una cosa: nel momento in cui arriverà il mio ultimo giorno, il mio ultimo respiro, mi auguro che ci sia vicino un sacerdote e una chiesa per confessarmi ed essere assolto di tutti i miei peccati».