Agorà

Intervista. Wajda e Walesa, il film della libertà

Luca Pellegrini venerdì 30 maggio 2014
Chi, come Andrzej Wajda, ha vissuto intensamente la storia, e gran parte di quella del secolo scorso, con i suoi ottantotto anni alle spalle, non può che farsi prendere da uno sconforto grande e una sottile paura quando parla con i suoi giovani connazionali, ragazzi ben integrati nell’Europa, alla ricerca di futuro, stabilità e benessere. Non sanno, o almeno non ricordano, però, che la Polonia in cui abitano, studiano, lavorano, in cui sperimentano la libertà, è nata dal coraggio di molti e soprattutto dal carisma di un operaio. Che poi divenne Presidente, prese il Nobel per la pace, rimase umile, rimase se stesso. Che lo sappiano o meno, per ogni polacco e per ogni europeo i fatti di Danzica, del sindacato Solidarnosc e tutto ciò che riguarda la figura di Lech Walesa, fanno parte del proprio patrimonio civile e politico. «I giovani dimenticano con grande facilità – confessa il decano dei registi polacchi, Oscar alla carriera nel 2000, due anni prima Leone d’oro, sempre alla carriera, a Venezia, nel 1981 Palma d’oro a Cannes con L’uomo di ferro, tantissimi altri premi che ne riconoscono lo stile e la coerenza – e questo film l’ho girato apposta per loro, perché durasse la memoria di anni della nostra storia fondamentali per noi è per il destino dell’intera Europa. Vorrei che avesse ancora un valore universale il motto "Non c’è libertà senza solidarietà" che contraddistinse il Sindacato e la lotta del popolo contro la dittatura comunista».Walesa. Uomo della speranza – presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia lo scorso anno e in sala da venerdì 6 giugno – racconta i fatti drammatici vissuti dalla Polonia nel ventennio che inizia con il massacro di Danzica nel 1970 e termina con la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Un periodo storico in cui alcune pagine non sono ancora del tutto chiare e con esse i ruoli di alcuni dei protagonisti di quei drammatici giorni, che uno a uno scompaiono, come recentemente l’uomo di potere – e del colpo di stato del 1981, con l’introduzione delle leggi marziali – il generale Jaruzelski. Walesa, un personaggio che lei ha conosciuto ben prima di questo progetto.«Erano gli anni ’70 e già ammiravo Walesa per l’impegno sindacale e umanitario che svolgeva nei cantieri navali di Danzica durante la trattativa tra Solidarnosc e la Commissione governativa, mentre iniziavano i drammatici giorni dello sciopero. Presiedevo l’Associazione dei cineasti polacchi e riuscii a ottenere una macchina da presa per girare gli incontri. Credo che nel film si senta questa autenticità. Mi auguro che il pubblico riesca a coglierla e che Lech diventi per tutti esempio di quanto possa essere seria e nobile l’attività e la partecipazione politica».Quale secondo lei il merito del vostro ex-Presidente?«Aver fatto capire ai polacchi che potevano scegliere da chi essere governati senza il controllo della polizia e delle autorità, e che il partito comunista non era onnipotente. Grazie anche alla testimonianza della Chiesa cattolica, hanno rifiutato un regime liberticida e saputo organizzarsi in modo autonomo, con i propri rappresentati al governo e nelle istituzioni».Ma nel suo film Giovanni Paolo II e la Chiesa polacca sono quasi tenuti al margine: se ne sente la forza spirituale e morale, ma si vedono pochissimo. C’è una ragione?«Non volevo mescolare tutto insieme. Sono stati prodotti già tre film sul Papa polacco che hanno mostrato il suo ruolo in quel frangente storico. Il fatto decisivo è che il Pontefice sia arrivato in Polonia nel giugno del 1979 proprio mentre il mio Paese stava vivendo uno dei momenti più drammatici della sua storia. Ci insegnò che potevamo sconfiggere la paura, che potevamo pensare e vivere in termini di libertà. In Wojtyla la Polonia scoprì di avere un rappresentante molto più forte e autorevole che il regime di Mosca. Ho scelto di mostrare il segno della Croce fatto dagli agenti dei Servizi di sicurezza in ginocchio davanti alla televisione mentre il Papa celebra la Messa e benedice: per me una immagine fortemente simbolica, piuttosto che vedere la sua figura in modo diretto ed esplicito».Il vero Walesa è stato soddisfatto del suo film?«Lo abbiamo guardato insieme, lui lo ha fatto con grande attenzione e con occhio indulgente. Credo, comunque, che chiunque si veda sullo schermo vorrebbe essere chiaramente rappresentato nella luce più favorevole possibile. Robert Wieckiewicz lo interpreta in modo realistico e veritiero, un personaggio dalle forti caratterizzazioni, anche molto divertente. Forse, Walesa si voleva vedere com’è oggi, ma all’epoca lui era proprio così».