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IL NUOVO ALBUM. Branduardi:«Vivo controcorrente. E ora canto l’impegno»

Alessandro Beltrami giovedì 16 aprile 2009
«Senza peccare di presunzione – racconta Angelo Branduardi da sotto l’inconfondi­bile cespuglio di capelli – il primo a suo­nare unplugged sono stato io. Tanto è vero che nel 1986, quando girammo l’Europa con un tour intera­mente acustico, il termine non c’era nemmeno. E in­fatti chiamammo quella tournée Senza spina. » E Senza spina è il titolo anche dell’album che a di­stanza di 23 anni rende testimonianza di quell’espe­rienza. Due "vecchie" audiocassette di un concerto tenuto all’Olympia di Parigi nel dicembre 1986 sono saltate fuori a sorpresa dall’archivio di Franco Finet­ti, l’ingegnere del suono che accompagnò Branduar­di, Bruno De Filippi, Maurizio Fabrizio e José de Ri­bamar "Papete" in quell’avventura. Da un’intensa e liquida Luna nella versione in francese a una O sole mio dal suadente passo d’habanera («è una canzone no­stalgica, Di Capua la scrisse a Odessa. Di solito è mar­tirizzata dal tenore di turno. Io mi sono ispirato alla ver­sione di Murolo, la più bella») passando per le canzo­ni ispirate alle poesie di Yeats, undici brani in cui la vo­ce del cantautore è rivestita, in tempi non sospetti, dei suoni di quella che oggi chiameremmo world music. Branduardi, come reagì il pubblico? «Il primo quarto d’ora era frastornato. Nessuna pres­sione sonora, niente basso, niente batteria. Solo mi­crofoni per portare il suono dei nostri strumenti acu­stici fino in fondo alla sala. Mi hanno sempre ricono­sciuto di saper guardare avanti e precorrere i tempi. Sono sempre stato controcorrente, faccio il contrario di quello che la gente si aspetta da me. Mia figlia mi ha paragonato a un extraterrestre perché la mia mu­sica non assomiglia a nulla. O la si ama o la si odia». Il disco è aperto da tre brani inediti, registrati nel feb­braio scorso, anche questi 'senza spina'. Nel primo, «Il denaro dei nani», si parla di un tesoro che «non va­le niente» e che «va in fumo». «Ho voluto scrivere un brano di denuncia. A mio mo­do, naturalmente. Velata, metaforica, ma trasparente. Il soggetto è tratto dalle saghe nordiche ma non ci vuo­le molto a capire chi sono i nani: i finanzieri senza scrupoli che hanno vissuto sulle nostre spalle. Io non ho mai fatto cronaca, non ho mai cavalcato né per for­tuna sono sceso da tigri politiche. E questo ora mi dà credibilità». Il disco testimonia un concerto a Parigi, il 18 aprile lei inaugura un tour di 24 date in Germania, dove è stato per la prima volta nel 1978. Come si spiega que­sto successo all’estero? «Credo che il pubblico straniero veda in me l’italia­nità. E soprattutto apprezza la lingua italiana. Una vol­ta a Monaco provai a cantare una mia canzone in in­glese. Ci fu l’insurrezione. Mi scusai e riattaccai nella versione originale. In Germania ho fatto oltre 350 con­certi e rappresentazioni tra la Lauda e Infinitamente piccolo. E continuano a richiederli». Con i dischi 'francescani' ha incontrato un pubbli­co composto da giovani molti dei quali ai suoi esor­di non erano ancora nati. «Pensi che Infinitamente piccolo nessuno lo voleva fa­re. Eppure grazie al passaparola sono arrivati tantissi­mi ragazzi. È stato il disco che mi ha fatto scoprire a un certo tipo di gioventù. I giovani di area cattolica so­no gli unici oggi che si danno veramente da fare. So­no loro gli autentici trasgressivi». Cosa ne pensa dei ragazzi che popolano i reality mu­sicali in tv? «Oggi si parla tanto di talenti. A X Factor o Amici i ra­gazzi arrivano simpatici, bravi e spontanei. Dopo 10 giorni sono artefatti. È esattamente il contrario del col­tivare il talento. Ma non invidio chi comincia oggi. Tut­to è molto più difficile. Per emergere hai solo cinque minuti e due occasioni: la prima e l’ultima».