Agorà

INCHIESTA. Vivai senza soldi. Giovani trascurati

Ivo Romano domenica 18 luglio 2010
Non è un Paese per giovani. Nel calcio, come in altri settori. Meglio tutto e subito, senza aspettare. E ad allevare i futuri campioni che ci pensino altri. Se c’era bisogno di conferme, ce le ha date il fallimentare Mondiale: l’Italia, una delle squadre più vecchie, la quarta (età media di 28,2 anni), dopo Inghilterra (28,7), Brasile (28,6) e Australia (28,4). La nazionale, lo specchio del campionato. Perché la serie A non è campionato per giovani. Anzi, è il più vecchio dell’Europa calcisticamente migliore (allargano la ricerca a tutto il continente, è il secondo più vecchio, alle spalle del modesto torneo cipriota): 27,4 l’età media dei giocatori in Italia, 26 in Spagna, 25,9 in Inghilterra, 25,7 in Germania, 24,7 in Francia. E chi cresce un giovane mai che aspetti la sua maturazione: solito copione, che si faccia le ossa altrove, magari in provincia, col rischio di perderlo (un esempio lampante: Bonucci, cresciuto nell’Inter, ceduto al Bari, ora transitato alla Juve per una cifra astronomica). Così le rose sono piene zeppe di calciatori in là con gli anni: il Milan fa scuola, con l’età media superiore ai 29 anni della squadra della scorsa stagione). E chi punta sui giovani lo fa affidandosi a quelli d’importazione, metodo più rapido e talvolta anche efficace: l’Udinese aveva letà media più bassa (poco più di 25 anni), ma di giocatori italiani poco o nulla. Questo il quadro, non propriamente incoraggiante. E i paragoni, che lo sono ancora meno. Questione di volontà. E di politiche societarie. Vivai, questi sconosciuti. Li si cura poco. E anche male. E i nodi vengono al pettine. Altrove la formazione è aspetto fondamentale, su cui i club puntano e investono. Da noi per nulla, tranne rarissime eccezioni: l’Atalanta, che ha rappresentato per anni un punto di riferimento nella cura dei vivai, così come la Roma che pure ha tirato fuori ottimi calciatori. In generale, però, siamo messi male. I numeri parlano chiaro, non dicono mai bugie. Tra i calciatori di serie A il 12,5 per cento (la media europea si aggira intorno al 22 per cento) è stato formato nei vivai delle varie squadre. Un’autentica miseria. Il divario con il calcio degli altri è enorme, anche in questo caso. In Francia si sfiora il 30 per cento, la Spagna è attestata poco al di sotto del 25, l’Inghilterra è al 17,5 per cento, la Germania al 17. Campionato vecchio, pochi giovani che emergono. E non è certo un caso. Perché in Italia di talenti del futuro non è che se ne producano tanti. Se non c’è spazio, potrebbero emigrare. E invece no: l’Italia esporterà più calciatori di Inghilterra e Germania (nel loro caso si possono contare sulle dita di una mano), ma è comunque legata a numeri molto bassi, residuali (una quindicina in tutto).I club nemmeno ci pensano a cambiare rotta. Un timido tentativo lo sta facendo l’Assocalciatori, che ha preparato un “Progetto per la valorizzazione dei vivai italiani”: più incentivi, più strutture, più tecnici specializzati, differente mentalità. La Figc ne prenderà visione, poi deciderà il da farsi. Una cosa è certa: c’è bisogno di investimenti. Quelli delle società sono minimi: chi tira fuori più quattrini per la cura dei vivai sono i club più importanti, Inter, Milan e Juventus. Comunque, somme neppure lontanamente paragonabili a quelle investite da un club virtuoso come il Barcellona. Cinque milioni di euro per ognuna delle nostre tre grandi: una somma che equivale circa al 2,5 per cento dell’intero fatturato (per tutte intorno ai 200 milioni). Una vera miseria. Una goccia nel mare del bilancio.