Agorà

Idee. Visionari e sistema: una incompatibilità necessaria

Raul Gabriel martedì 11 maggio 2021

Alcune realtà dell’uomo portano in sé un conflitto insanabile. Come l’urgenza della visione e la necessità che vi si sovrappone di farne sistema. Il conflitto si acuisce in maniera direttamente proporzionale con la potenza rivoluzionaria delle intuizioni. Neanche a dirlo le fedi sono il campo privilegiato di questa contraddizione. Non voluta, non opzionale. Il guizzo spirituale che apre verso realtà nuove deve scontare il pegno dello scontro decisivo con il consueto. La divergenza che ne deriva non è solo conseguenza, ma eredità scomoda e ineludibile delle ispirazioni autentiche che non seguono le regole orizzontali degli schemi sociali, qualunque sia la loro organizzazione. Nei millenni l’uomo ha tentato di gestire questa irriducibilità congenita. Con risultati alterni. Da un punto di vista pragmatico, ovvero a corto raggio, la necessità di fare sistema con regole e regolette e i loro sacerdoti i turno, ha sempre il sopravvento.

Perché la visione in sé è irriducibile alla logistica. Anche alla logistica morale, al contingentamento formale e pretenziosamente etico. La carne delle visioni viscerali è una dimensione di razionalità sempre distante e spesso opposta alla traduzione temporale che se ne tenta di fare per agevolare la coesistenza civile come la intendiamo, troppo spesso trionfo di mediocrità condivise per il tornaconto diffuso. Il visionario depone il conosciuto non per sua volontà, in un abbandono cui è condannato o elevato a seconda dei punti di vista. Ha un suo preciso percorso. Nasce come gemma in un deserto e genera qualche riflesso di vita folgorante, che attira l’attenzione di alcuni, pochi o molti che siano. Questa è la fase vitale. Qui si genera la vita e, forse, la speranza di continuità di quella sana follia che, sola, salva l’uomo dalla miseria di una quotidianità mediocre.

I riflessi rimbalzano in altri specchi e si diffondono. Ma, come in fisica, con la progressiva somma di riflessioni si generano le distorsioni. Insieme alle distorsioni, i riflessi originali, via via indeboliti, spingono alcuni, cui la visione non ha regalato il fardello della resa sfolgorante, a credere di aver trovato non una fonte di vita imprendibile per natura, ma le basi per un nuovo possibile schema logistico sociale in cui si immagina di poter irregimentare, spezzettare e distribuire in porzioni monodose ciò che per sua natura è incontenibile, gioioso, a tratti feroce, estatico.

Questa tentazione va di pari passo con una brama irresistibile e fatale di prendere il controllo. A quel punto il visionario diventa un peso. Perché memoria presente dell’impossibilità di una mistica vestita in gessato sartoriale di buona fattura, che parla burocratese e che nasconde, dietro l’ipocrisia dei buoni sentimenti recitati e usati come un bastone, velleità di protagonismo e prelazione sulla profezia. Il visionario, nella storia, subisce a questo punto differenti tipi di trattamento. La civiltà (perlomeno quella che ci fa comodo credere sia l’unica possibile) ha scartato quasi completamente l’eliminazione fisica con metodi spettacolari e di monito. Ma la violenza dei sistemi, pur dissimulata, rimane la stessa.

Questo ciclico destino è riservato a tutte le visioni, in particolare a quelle autenticamente potenti. Si dice che sia necessario tradurre la visione in un prodotto accessibile perché non sarebbe possibile viverla nella sua interezza. Troppo viscerale. La visione cristiana è certamente tra quelle che portano in sé questa contraddizione più di altre, perché la scommessa è totale, come il ribaltamento di tutte logiche istintive e per controaltare di tutte quelle preordinate. Squassa la morale immaginata fin dalle sue fondamenta per darle lo spessore di una scommessa giocata nel profondo della carne. Il cristianesimo che diventa sistema porta con sé una valanga di fraintendimenti e ha generato e continua a generare metodologie che sono in aperta contraddizione con il senso stesso della rivoluzione cristiana.

La traduzione formale della visione rischia di inglobare e zittire la sua forza mettendo da parte i mistici e favorendo i burocrati e chi tutto sommato vive la fede come un sistema di vita che porta i suoi privilegi, le sue carriere, i suoi titoli, i suoi appalti. Poco importa se il frutto di questo diventa esperienza autoriferita priva di preoccupazione alcuna nel dialogare in senso critico con le altre esperienze culturali. Vivere l’esperienza della gioia di una catarsi, anche nella sua fase germinale è un fatto che non può essere compreso da chi pone al vertice della gerarchia delle attese la precisione formale, le caselline del questionario perfettamente compilate. Altra scuola, altre regole, altra gioia, altra forza, altro fardello. Chi si arrende alla visione con profonda determinazione è portatore di vita, non di sistema. Il quale funziona troppo spesso come la morte della ispirazione profonda che porta ancora miracolosamente qualcuno a cambiare vita. Fino a che altri, con qualche cavillo e una penna rossa o blu, non cerca di metterlo a posto, in prematura confezione della tenuta funebre di una morte annunciata. Quella della fede