Agorà

ANNIVERSARI. Vince la mistica a casa Maritain

Giancarlo Galeazzi giovedì 24 febbraio 2011
Un filosofo e una poetessa che hanno teorizzato e sperimentato la «contemplazione nel mondo»: tali sono stati Jacques Maritain e sua moglie Raïssa, una coppia agli antipodi della coppia Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir: tanto questi furono chiusi nell’immanenza, tanto quelli furono aperti alla trascendenza. Occorre, però, aggiungere che i Maritain coniugarono la loro assoluta disponibilità all’Eterno con la più vigile attenzione al tempo; impegnati "nel" mondo non furono mai "del" mondo: furono cittadini di due patrie, ed esercitarono una duplice fedeltà: a Dio e agli uomini; il loro impegno fu, insieme, intellettuale e spirituale, sociale e religioso. Nella vasta produzione di Jacques troviamo accanto a opere di logica ed epistemologia, di metafisica e teologia, anche opere di morale e politica, di estetica e pedagogia, per cui si può ben dire che Jacques ha fatto filosofia a 360 gradi; non solo: egli si è anche impegnato in prima persona nella resistenza al nazismo, nella dichiarazione dei diritti umani, nella costruzione della democrazia, nella progettazione della pace, nel rinnovamento ecclesiale. Dunque, quell’umanesimo integrale, teorizzato nell’omonimo volume, fu da lui incarnato a tutto tondo, vivendo all’insegna della "integralità", perché interpellava e coinvolgeva tutta la persona, e della "integrazione", perché si misurava e interagiva con altre forme di umanesimo. Coerente con questa impostazione filosofica ed esistenziale, è la sua concezione della mistica, che prese in seria considerazione in diverse opere: da I gradi del sapere a Quattro saggi sullo spirito nella condizione di incarnazione, da Questioni di coscienza a Il contadino della Garonna, e da un duplice punto di vista: epistemologico e antropologico. Jacques evidenzia così che l’epistemologia serve alla mistica per evitare le «mistificazioni», in quanto porta a precisare lo statuto della mistica come «grado del sapere» con una propria specificità: il patire cose divine è frutto non di tecniche, ma della grazia; d’altra parte, la mistica serve alla epistemologia per evitare che questa cada nello «scientismo», in quanto ricorda che molteplici sono «i gradi del sapere»: oltre la scienza c’è la sapienza. Jacques evidenzia inoltre che l’antropologia serve alla mistica perché le fornisce una concezione che guarda all’uomo non in termini individualistici o collettivistici, bensì personalistici e comunitari; d’altra parte, la mistica serve all’antropologia perché sottolinea il carattere unitario della persona: infatti, essendo tutta la persona coinvolta nella esperienza mistica, viene richiamata la necessità di superare concezioni monistiche e dualistiche a favore di una visione complessa e unitaria. In questo quadro, Jacques sperimentò la cosiddetta contemplazione nel mondo e non è casuale che abbia voluto concludere la sua esistenza terrena entrando nella congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù. Si può dire, quindi, che Jacques ha incarnato il paradosso d’essere totalmente laico e totalmente mistico, secondo la formula (a lui cara) della «contemplazione che sovrabbonda in azione». Dal canto suo, Raïssa visse in modo anche più accentuato la dimensione contemplativa, pur sempre in un contesto relazionale molto ricco; basti pensare ai «grandi amici», di cui ci parla nel libro omonimo. Da Versailles a Meudon, da New York a Roma, da Princeton a Kolbsheim, Raïssa (insieme con Jacques e la sorella Vera) visse inserita nelle relazioni amicali, nei dibattiti culturali, negli eventi drammatici del suo tempo. In questo contesto, in cui Raïssa seppe ritagliarsi i suoi spazi di «raccoglimento interiore», fiorì la sua poesia, la quale è essenzialmente una poesia religiosa: ecco perché ho posto come sottotitolo alla traduzione italiana delle sue Poesie: Contemplazione tra poesia e mistica. Dunque, l’esperienza poetica e l’esperienza mistica rappresentano, per così dire, la dimensione "pubblica" e quella "privata" della contemplazione vissuta da Raïssa. Infine, sva sottolineato il fatto che tanto Jacques quanto Raïssa s’impegnarono a chiarire la mistica in sé e nelle sue relazioni. Utilizzando la metodologia tomista del «distinguere per unire», i Maritain propongono una visione articolata del sapere in cui si riconosce il posto più elevato alla mistica: così Jacques distingue tra sapienza metafisica (parlare di Dio), teologica (parlare con Dio) e mistica (far parlare Dio), e Raïssa distingue la mistica da filosofia, magia e poesia. Dunque, le convergenze tra queste diverse forme conoscitive non devono far dimenticare le loro differenze, per cui in ogni ambito bisogna procedere juxta propria principia. Pertanto il pericolo da evitare è quello del "riduzionismo": tali sono lo scientismo per un verso e l’estetismo per l’altro, che risolvono tutto nella scienza o nell’arte; ma da evitare è anche il misticismo, che dissolve la conoscenza filosofica e quella poetica. Dai Maritain viene un invito forte (mai tanto attuale quanto nel nostro tempo) a riconoscere il pluralismo conoscitivo ed esperienziale, per cui senza equivoci convivono nel pensatore filosofia e contemplazione, e nella scrittrice poesia e contemplazione. Distinzione nell’unità, quindi, e la cosa appare del tutto congruente, in particolare alla luce della concezione che colloca la possibilità della mistica non al di fuori del mondo, ma nel mondo stesso, e la apparenta alla santità: e, come per questa, si può dire che la contemplazione è «vocazione di tutti nella condizione di ciascuno» (Lumen Gentium). Tale è la cosiddetta «contemplazione per le strade», che il vecchio filosofo tornò a puntualizzare in uno dei suoi ultimi seminari di Tolosa a proposito della vocazione dei Piccoli Fratelli di Gesù, e che fu vissuta da lui e da sua moglie facendo proprio l’ammonimento di Leon Bloy: «non c’è che un’unica tristezza, quella di non essere santi». Per tutto questo Jacques e Raïssa Maritain possono ben essere definiti dei "contemplativi per le strade della filosofia e della poesia".