Agorà

VIBRAZIONI. L’invasione delle «onde anomale»

Silvia Camisasca domenica 22 maggio 2011
Spazzolini e rasoi elettrici, spremiagrumi e minipimer, aspirapolveri e vasche idromassaggi, trapani, violini e motorini: cosa mai avranno in comune tra loro, oltre a essere oggetti e mezzi impiegati quotidianamente? Ogni giorno, dal risveglio al momento in cui ci corichiamo, siamo sottoposti a molteplici sollecitazioni di natura psicologica, meccanica, biochimica, e, benché per la maggior parte siano di origine naturale, alcune di esse si distinguono per essere state introdotte quasi esclusivamente dall’uomo: è in quest’ultima categoria che si colloca la quasi totalità delle vibrazioni meccaniche, per lo più pervasive, cui siamo sottoposti anche a contatto degli strumenti elencati. Analogamente le oscillazioni di un bus in corsa si trasmettono agli edifici, fino anche ai piani più alti, provocando fastidio e disagio, ma, soprattutto, sono avvertite dai passeggeri. Le vibrazioni di origine artificiale, oltre ad essere alquanto frequenti possono essere piuttosto intense: attrezzi di lavoro elettrici o pneumatici, quali smerigliatrici o tagliaerba, trasferiscono spinte esterne alla mano e da qui al braccio, che reagisce assorbendo l’energia meccanica delle onde trasmesse. È ben noto, come testimoniano purtroppo anche recenti cronache, che eventi meccanici di origine naturale, quali i terremoti, provocano parecchi danni, ma sono piuttosto rari. L’avvento di attrezzi e veicoli vibranti, risparmiando agli uomini grandi fatiche, ha cambiato radicalmente lo stile di vita, imponendosi in tutti gli ambienti: si pensi al numero di persone che preferiscono il motorino alla bicicletta, soprattutto in una città come Roma, arroccata su sette colli. Per confrontare il grado di nocività tra una moto e un falciaerba occorre stabilire un criterio collegato con l’effetto sul manovratore. Non tutte le frequenze danno luogo a uno stesso danno potenziale nelle diverse parti del corpo, pertanto, si rilevano quelle dannose, che avranno un peso maggiore. Così scopriamo che una barca cullata dalle onde del mare calmo, soggetta a vibrazioni di bassissima frequenza, non è affatto nociva, ma non è così per un motoscafo a grande velocità sul mare increspato, a causa delle alte frequenze. Oltre a queste, gli effetti delle oscillazioni dipendono dall’intensità, ovvero, dall’ampiezza delle onde trasmesse: le vibrazioni prodotte da un violino al mento del musicista sono di entità tale da non comportare conseguenze di rilevanza sanitaria, anzi, in particolari situazioni, come nel caso dell’idromassaggio di una vasca, possono recare sollievo. Del resto per distinguere le vibrazioni potenzialmente dannose, la natura ci ha dotato di uno strumento molto efficace, la sensazione: se sgradevole, facilmente corrisponderà a un moto vibratorio nocivo, mentre se piacevole, non danneggerà l’organismo. Analogamente nel caso degli autoveicoli, sorgenti mediamente responsabili delle maggiori sollecitazioni nel corso della giornata, portano conseguenze più o meno nocive sull’organismo a seconda delle velocità a cui viaggiano e delle condizioni del tracciato: un percorso particolarmente tortuoso non è di certo salutare! Ovviamente ciò non è sempre detto: le vibrazioni del trapano del dentista, risanano la nostra dentatura, ma sono decisamente poco piacevoli; il dondolio della barca sulle onde è alquanto riposante, ma può farci venire il mal di mare! L’interesse per le sollecitazioni meccaniche trasmesse all’organismo si accese nella prima metà del novecento con la crescente diffusione di attrezzi vibranti, quando un’estesa campagna di rilevazioni portò a caratterizzare la "malattia del dito bianco" o sindrome di Raynaud. Lo studio contribuì a definire il quadro patologico dovuto alle vibrazioni, collegato essenzialmente a malattie vascolari degli arti. Le vibrazioni sono classificate in due sottospecie: come agente patogeno per il corpo nel suo complesso o come sorgente di stress per gli arti superiori; tale distinzione nasce dalla differente risposta in termini di frequenza alle sollecitazioni meccaniche e dalla specificità degli effetti indotti. La valutazione lavorativa del rischio viene quantificata in riferimento all’accelerazione ponderata in frequenza trasmessa dalla forza vibrazionale al corpo intero o al sistema mano-braccio, con una netta distinzione tra i due casi: questo implica l’adozione di due metodi di valutazione, trattandosi di differenti fattori di rischio, e non dello stesso che colpisce diversi distretti corporei. Sia la direttiva europea che la normativa italiana fanno riferimento a «livelli di azione», oltre i quali scattano una serie di misure di prevenzioni e protezione a tutela della salute del personale, e «livelli limite», che non dovrebbero mai essere superati, e possono essere valutati mediante misure dirette o avvalendosi della banca dati presente all’Ispesl. È d’obbligo per i datori di lavoro effettuare le opportune valutazioni sul rischio del personale esposto e, se necessario, individuare le modalità d’intervento da adottare per riportare i valori entro la norma. Un aneddoto storico, che ben definisce la portata del fenomeno delle vibrazioni risale al novembre del 1940, quando nello stato di Washington il ponte di Tacoma, da poco inaugurato, cominciò a oscillare e crollò sotto l’azione di un vento di soli 44 km/h: come motivare il cedimento di un ponte di 1524 metri, con una campata centrale di 853 metri, a una così bassa velocità del vento? Nella fase progettuale non si era tenuto conto della frequenza di torsione del vento, che se è pari a quella di risonanza del ponte può portare a tali rovine.