Agorà

Società. Verso il Natale della sostenibilità

Monica Fabris e Paolo Sorbi domenica 13 dicembre 2020

Stiamo andando incontro a una celebrazione del Natale molto particolare, prima di tutto dal punto di vista della condivisione degli affetti. A causa delle misure in atto i festeggiamenti non saranno limitati ai più vicini di spirito, ma alla fisicità materiale. Il significato stesso dei prossimi sarà tutto declinato sulla misura della distanza fisica. In questo periodo di decodifica e ricodifica delle parole i famosi “congiunti” tornano in prima piano. Nell’epoca del trionfo del digitale le norme del Natale sembrano dirci che non importa tutto il tempo che dedichiamo alle piattaforme online. Quello che conta è chi incontriamo da vivo, nel mondo cosiddetto reale del nostro quotidiano. Senza la possibilità di spostamento passeremo le feste solo con i nostri “parenti più stretti”. Mancheranno i Re Magi nel presepe, e con loro, di conseguenza, anche i doni. Come cambia il nostro vissuto più profondo e quali riflessioni saranno suggerite da questo scenario? È importante non soffermarci su una visione contingente ma osservare il cambiamento in una prospettiva più ampia. Nella discontinuità come nella continuità. La nostra vista si allunga se passiamo ad analizzare gli aspetti del consumo, che hanno a che fare non solo con cosa viene acquistato ma anche e soprattutto con quali fantasie, emozioni, aspettative profonde. È necessario cioè tornare a ragionare sul consumo come con- dotta sociale dotato di senso.

Adottiamo questo sguardo con la lettura delle due tendenze monitorate da Atlas, lo scenario socioculturale di lungo periodo condotto da Episteme. La discontinuità è data dall’interrompersi del megatrend della ricerca di distinzione, con il venir meno delle condizioni sociali del confronto e della competizione degli stilli di vita, tutta proiettata sul piano dell’immaginario dei social e messa in discussione su quello dei nuovi valori e stili di vita emergenti, immersi in una nuova sorgente valoriale e di anelito al rinnovamento, prima di tutto ambientale. Nella continuità cresce la spinta a dare ai consumi un significato etico sociale, sempre più orientato alla costruzione di un nuovo capitalismo bonificato dalle sue principali tare, dall’inquinamento alle disuguaglianze. Un trend di lungo periodo, valoriale, che prosegue ulteriormente sostenuto dall’emergenza in atto. Prevale l’auspicio alla riduzione degli sprechi e da una maggiore consapevolezza caratteristica di un mercato saturo, ostruito dalle duplicazioni, in cui era urgente la pratica della selezione ragionata. Sullo sfondo dei regali di Natale vediamo dunque un ribilanciamento delle due grandi matrici del consumo. Da una parte si riduce, quella individualista che in tanta letteratura – da Honoré de Balzac, a Georg Simmel a Pierre Bourdieu – sta alla base del mercato come desiderio simbolico di affermazione personale. Il bisogno di distinzione che traduce il consumo come status, anche nei codici più recenti dell’understatement. Cala dunque l’ottica etero–riferita, basata sulle dinamiche di invidia e supremazia che da sempre caratterizzano la storia dell’interazione umana. Se è stata la Scuola di Francoforte a cogliere gli aspetti di omologazione e massificazione del capitalismo nell’epoca dell’esplosione dei consumi di massa, ben prima la scuola weberiana riconduceva il capitalismo alle sue motivazioni profonde, di natura etica e spirituale.

Secondo questa lettura il consumo è retrocesso a un ruolo secondario rispetto al piano spirituale. L’affermazione simbolica è espressione dei valori sottostanti alla ricchezza. La spinta non è dunque di differenziazione ma semmai di convergenza su un terreno comune. È proprio l’ottica weberiana che ci aiuta di più in questo momento a comprendere le leve del consumo, in cui, in una tendenziale staticità e ripetitività di gusti e tendenze, vediamo emergere sempre di più il paradigma della sostenibilità. Da questo punto di vista è il richiamo positivo a una posizione riflessiva e culturale a dominare le scelte di consumo, anche quando stimolate dalla rapidità del clic. Al punto da non chiamarle più neanche consumi, come se fosse quasi una brutta parola. La mancanza di crescita demografica che vede il nostro paese in fondo alla classifica mondiale, contribuisce a inibire eventuali movimenti di protesta e mobilitazione in nome di queste cause. Mancano letteralmente le forze e le passioni giovanili che potrebbero animarle dando voce allo scontento della crisi in corso. Naturalmente le cose sono molto più complesse, la ricerca di sintesi convive con le polarizzazioni e i conflitti interni ed esterni ai singoli individui, nel costante ciclo della costruzione e distruzione del tessuto sociale. Lo studio della società, con nuove e vecchie opposizioni, può aiutare a cogliere l’evoluzione di lungo periodo.