Agorà

VALNERINA. Quando la fede vive d’incanto

Massimiliano Castellani venerdì 30 marzo 2012
L’acqua del Nera, pura e cristallina, scorre veloce nella Valle incantata che reca il suo nome. È da qui, da Roccaporena, il paese natio di Santa Rita da Cascia, che partiamo per uno degli itinerari spirituali, forse meno noti, eppure tra i più suggestivi nel cuore verde dell’Umbria: quello dei Santuari terapeutici. «Santuari di frontiera, luoghi privilegiati dove almeno una volta l’anno, comunità, spesso divise per problemi inerenti al pascipascolo o al legnatico o non di rado disgiunte per il solo pettegolezzo, si sentono solidali e recuperano la loro identità paesana», scrive don Mario Sensi nel suo Vita di pietà e vita civile di un altopiano tra Umbria e Marche (Edizioni di Storia e Letteratura). Luoghi dove tradizione e devozione consolidata nei secoli, vuole che l’acqua di fiume, la pietra delle pievi millenarie, lo scoglio delle grotte appenniniche, porti beneficio allo spirito e alla salute psicofisica dei pellegrini. «Vorrei una rosa e due fichi del mio orto», fu l’umile ultimo desiderio di Santa Rita da Cascia. E nel suo orticello della casa di Roccaporena, sotto la neve, nel 1457, si compì il miracolo: sbocciò la rosa e maturò il fico. Nella roccia levigata dal fiume Corno, dove Santa Rita andava a pregare lasciando l’impronta dei gomiti e delle ginocchia, continuano imperterriti a salire, specie nel mese di maggio i fedeli che implorano la guarigione dei loro mali, anche “d’amore”. Ogni Santuario ha una sua specifica funzione terapeutica. Così riscendendo a valle, a Sant’Anatolia di Narco, avvolto tra le verdi coltri dei boschi umbratili, abbaglia di luce il candido e petroso romanico dell’abbazia di San Felice. L’eremo in cui dalla Siria San Mauro arrivò con il figlio Felice e fecero il miracolo della liberazione della popolazione locale dal “miasmo” del drago. Metafora della bonifica della malsana palude, operata dai monaci di San Felice. Questi, attingevano a piene mani l’acqua del Nera che scorre sotto la cripta che custodisce il sepolcro di San Mauro e San Felice. Una fonte miracolosa, per le malattie della pelle. Uscendo dalla Valnerina e lasciandosi alle spalle Spoleto, dove nelle sue campagne non mancano altri piccoli siti di “santuari di frontiera” (come Madonna della Stella), ci si addentra nella montagna del folignate, in luoghi ancora meno noti e misteriosi, persino agli stessi umbri. Dal piccolo borgo di Pale, appena restaurato e guarito dalle ferite dell’ultimo terremoto, si sale per un sentiero alla maestà incastonata nelle spelonche dell’eremo di Santa Maria Giacobbe. Qui il 25 maggio, festa della patrona, e per il giorno dell’Ascensione, i pellegrini usavano (qualcuno lo fa ancora) salire a piedi scalzi in segno di purificazione, prima di accedere alla magnifica cappella che conserva incantevoli affreschi di scuola giottesca. Gioielli d’arte pittorica che spesso sono stati “sfregiati” dagli stessi pellegrini che portando via un pezzo di intonaco si sentivano protetti, convinti che il potere apotropaico dell’acqua della cisterna fosse tale anche in quel pezzetto di affresco. Dalla Croce di Pale, attraversando l’antichissima via Plestina e la Flaminia, alla “croce” di quello che don Mario Sensi definisce «il singolare santuario terapeutico di Cancelli» che per volontà vescovile è sorto in epoca moderna (il primo oratorio risale al 1657). Custode e depositario dell’«uso paraliturgico della croce» e cioè del rito del «segnare» (con l’accompagnamento della formula del paternoster) che si trasmette di padre in figlio, è Maurizio Cancelli. Quando non è intento a creare nel suo studiolo di artista, Maurizio accoglie i malati, «in particolar modo quelli con problemi muscolari e sciatiche», nella “Camera degli apostoli” attigua alla chiesetta dedicata a San Pietro e Paolo, i quali vengono invocati durante il rito della segnatura. Missione che esclusivamente gli “operatori” della famiglia Cancelli possono tramandare ed esercitare anche in altri luoghi. In questa montagna incantata, i culti e le credenze resistono, ma a volte, per volontà popolare, accade anche che cambino residenza, per poi ritornare. È il caso, poco più in basso di Cancelli, della Madonna del Riparo, nel villaggio di Roviglieto, che sorge dove nell’XI secolo venne eretto l’Eremo di Sant’Angelo de gructis. È grazie al ritrovamento di questa grotta che alla metà dell’800, i pellegrini cominciarono a tornare alla Madonna del Riparo, dopo che per lungo tempo avevano preferito andare a cercare maggior beneficio al santuario terapeutico della Madonna delle Grazie, a Rasiglia, in cui si era verificato il miracolo della resurrezione di un bambino. Devozione materna, diffusa, e che si ritrova alle pendici del Subasio, nell’abbazia camaldolese di San Silvestro, nei pressi del magnifico borgo-presepio di Collepino dove Claudio Fabrizi, patron dell’albergo diffuso della Malvarina (nei pressi di Assisi), arriva a cavallo sulle orme di San Francesco. Qui, nell’eremo fondato dal San Romualdo, nel 1025, zampilla una fonte il cui abbeveraggio, credenza popolare vuole, ridona il latte alle puerpere e tonifica e guarisce gli animali malati. Così, il 31 dicembre, nel giorno di San Silvestro, patrono di Collepino, il “pane benedetto” oltre che agli uomini, da sempre viene offerto anche agli animali, su richiesta dei padroni, perché il Santo vegli anche sulle care bestiole.