Agorà

Intervista al politologo John Ikenberry. Usa, una nuova geopolitica

Antonio Giuliano sabato 15 novembre 2008
«Non illudiamoci. La luna di miele di Obama durerà ancora un po', poi gli toccherà rimboccarsi le maniche alla svelta e lavorare duro"». Guarda lontano G. John Ikenberry, docente di Politica e affari internazionali alla Princeton University, e tra i possibili consulenti del nuovo presidente Usa. Il politologo americano ieri si trovava all'Università Cattolica di Milano per un incontro promosso dall'Alta scuola in economia e relazioni internazionali (Aseri). Al dibattito erano presenti anche John J. Hillmeyer, del Consolato degli Stati Uniti d'America, e Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano. Professore non le sembra esagerato questo consenso mondiale di cui pare godere Obama? «Dovrà rispondere ad aspettative molto alte. Ha avuto però una grande affermazione. Me l'aspettavo, perché più del 75 per cento degli americani, compresi molti repubblicani, pensavano che con Bush l'America stesse andando nella direzione sbagliata. Mi piace la serietà di Obama, il suo pragmatismo. Lui non è un tipo ideologico, ma idealista. E l'idealista pensa sempre che le cose possono migliorare. La sua biografia ne fa la persona ideale per affrontare le sfide di una realtà culturale articolata come quella del XXI secolo. Ma presto dovrà fare i conti con problemi enormi: la disoccupazione negli Usa aumenta, la recessione globale è preoccupante e ci riguarderà per anni. Nessun uomo può compiere il miracolo di cambiare di colpo questa situazione». C'è il rischio che i problemi interni isolino gli Stati Uniti dal resto del mondo? «Sì. C'è il pericolo che gli Usa siano frustrati dagli ultimi anni di Bush e la nuova amministrazione si concentri di più sugli affari interni. Ma Obama ha una visione aperta sugli scenari internazionali e non credo che guarderà solo al proprio Paese. Viviamo in un'era in cui non si può essere protezionisti: le questioni dell'energia, dell'ambiente, delle nuove tecnologie, sono tematiche globali. La Cina per esempio sta già correndo avanti. Spero che Obama già in questo primo periodo di favore riesca insieme agli altri partner internazionali a creare nuove relazioni positive». Quali cambiamenti ci saranno sullo scacchiere internazionale? «Di sicuro ci saranno rapporti più distesi in politica estera. Obama dovrà riorganizzare la strategia politica in Medio Oriente. Occorrono nuovi sforzi per risolvere la questione israelo-palestinese. Ci sarà uno spostamento d'impegno dall'Iraq all'Afghanistan. Ma servirà una riorganizzazione dei rapporti fra gli Usa e una vasta regione asiatica che va da Israele e Palestina al Pakistan. È necessario negoziare un nuovo rapporto con la Russia, anche a costo di ritirare il progetto anti-missilistico in Europa. Stiamo peraltro parlando di un progetto ancora in evoluzione e ad Obama non conviene mettere a rischio l'amicizia con i russi. Dovrà trovare un accordo per venire incontro alle pretese russe sui territori ex-sovietici come la Georgia e l'Ucraina. Così potrà avere in cambio il sostegno della Russia sui problemi delle risorse energetiche e nei rapporti con l'Iran. Dobbiamo tener conto che la Russia adesso è molto arrabbiata, perché ha perso autorità e rispetto internazionale. Pochi cambiamenti ci saranno invece in Asia: già Bush aveva stretto buone relazioni con la Cina e l'Estremo Oriente non figura tra le priorità di Obama. Penso però che bisognerà lavorare alla creazione di un meccanismo di sicurezza che spinga la Cina a dialogare con Russia, Corea del Sud, Cina, Giappone, per quanto riguarda il pericolo nucleare della Corea del Nord». Con Obama l'Europa sarà meno anti-americana? «Le relazioni con l'Unione europea miglioreranno di sicuro. Serve un'azione comune, specie nei riguardi dell'Iran: l'applicazione delle sanzioni, non basta, occorre alternare la carota al bastone. Obama si aspetta che l'Europa lo aiuti sull'Afghanistan e anche sul Pakistan. Lui vuole la massima intesa con l'Europa, ma si aspetta da essa un aiuto maggiore di quello avuto dall'amministrazione Bush. Obama rafforzerà il ruolo della Nato, ma credo che si adopererà anche per riformare l'Onu. Le Nazioni Unite non sono mai state in crisi come oggi, non funziona soprattutto il potere di veto. Eppure mai come ora c'è bisogno dell'Onu. Mc Cain aveva avanzato la proposta provocatoria di superarlo creando un gruppo di Stati alternativi. Obama sa invece che bisognerà porre mano all'agognata riforma del Consiglio di sicurezza. È necessario includere altri Paesi come il Brasile, la Germania o il Giappone, ma questo allargamento trova sempre degli oppositori" Come l'Italia contro la Germania e la Cina verso il Giappone. Credo poi che un nuovo ordine mondiale potrà esserci coinvolgendo di più il G20 che rispetto al G8 include anche i Paesi meno sviluppati». Obama terrà conto delle preoccupazioni dei cattolici sui temi legati alla vita? «Sul risultato elettorale americano il voto dei cattolici è risultato comunque decisivo. Joe Biden, il vice di Obama, ha contribuito a conquistare il loro consenso. I cattolici hanno votato più sulla base delle questioni economiche che su quelle religiose e morali. Penso che Obama non prenderà una posizione netta sull'aborto, farà prevalere però la libera scelta delle donne. Credo darà più importanza ai problemi sociali. Anche per esempio sulla pena di morte: lui in linea di principio non si oppone, ma in generale negli americani c'è un cambiamento d'opinione e Obama cercherà di assumere posizioni più sfumate. Certo i temi morali gli procureranno insidie che nel tempo dovrà pure affrontare».