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Cinema. "Sopravvissuto" di Scott: un Robinson Crusoe fantascientifico che esalta ingegno e carattere

Umberto Folena martedì 29 settembre 2015
Pianeta Marte, il sogno e l’incubo. La speranza e la disperazione. Con i due “figli” avuti da Afrodite, Fobos e Deimos in orbita, le sue due minuscole lune. Paura e Terrore, generati da Guerra e Amore... Ma sempre e comunque la frontiera. Il perfetto territorio fantastico ove mettere alla prova gli individui. Mark Watney (Matt Damon) è Robinson Crusoe e Marte è un’isola disabitata elevata al cubo. Ma è anche il trapper perduto sulle Montagne Rocciose, è la pattuglia di nordisti fuggiaschi sull’Isola misteriosa di Jules Verne. L’uomo solo in un luogo deserto potrebbe abbandonarsi alla disperazione e invece no. Da perfetto eroe positivista ha dalla sua un’arma straordinaria, l’ingegno. Ha la ragione e le sue conoscenze. E Marte, per quanto ostile, può essere piegato. In fondo, sia Sopravvissuto sia L’isola misteriosa sia Robinson Crusoe cominciano con una tempesta che rovescia l’ordine e scombina le carte. E il racconto è il modo in cui gli umani ingegnosi, messi a dura prova, risolvono ogni problema, sopravvivono e sanno tornare alla civiltà. Ridley Scott – e Andy Weir, autore del romanzo che ha ispirato il film – sono emuli di Verne. La loro è fantascienza hard, rigorosamente tecnologica. E Marte è frontiera fisica. Per Ray Bradbury (Cronache marziane, 1950) è invece una frontiera innanzitutto dell’anima, con i marziani come i pellerossa e i pionieri che non riescono a dimenticare la Terra, la cui nostalgia è indicibile.  Sopravvissuto sta all’estremo opposto rispetto alla trilogia di Edgar Rice Borroughs, John Carter di Marte (1912), che usa il Pianeta Rosso come parco giochi per un rutilante planetary romance, un po’ come fa con la giungla per Tarzan. Esattamente un secolo dopo il film omonimo, dimenticabile, della Disney sarà un flop clamoroso, con un buco di duecento milioni di dollari. Pianeta morto? Allora da qualche parte ci saranno gli spettri dei marziani, più letali da defunti che da vivi come nel b-movie dello specialista John Carpenter, Fantasmi su Marte (2001), un sorta di fantawestern pulp girato in una cava di gesso nel Nuovo Messico.  Nel film di Scott il messaggio è chiaro. Di fronte a un problema, il pioniere non perde la calma, la sua psiche rimane solida e concentrata sull’obiettivo della sopravvivenza, conoscenze e addestramento e nervi saldi sono tutto. I cowboy arrivano in perfetto orario e lo acchiappano al lazo. E dietro le quinte tutto è possibile anche perché un cinese, con i capelli candidi da nonno buono, si dimostra generoso per il puro gusto di esserlo. E pensare che una volta i cinesi erano tutti in pigiama grigio e volevano conquistare il mondo...