Agorà

Teatro. Un grido da Pompei Fermate la guerra!

Michele Sciancalepore giovedì 25 maggio 2023

«In nome di Dio vi chiedo: fermate questo massacro!». Era il 13 marzo del 2022 quando dopo l’Angelus Papa Francesco levava forte l’appello affinché cessasse «l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri». Un grido, lanciato a meno di un mese dall’inizio della guerra in Ucraina, restato inascoltato e, a distanza di 15 mesi dal conflitto, i timori del Pontefice sono diventati triste e tremenda realtà: città sepolcrali, vite spezzate, massacri e orrori bellici. «Quante cose mi mordono il cuore!... E di trattare la pace se ne infischiano». Era il 425 a.C. quando Aristofane, non ancora ventenne, fa pronunciare queste parole a Diceopoli, il protagonista della sua commedia Gli Acarnesi, un contadino stufo dell’annosa trentennale e mortifera guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta e stanco di vedere i suoi raccolti distrutti dai soldati. Tempi, contesti, personaggi diversi, ma il risultato purtroppo non è mai cambiato. Dopo quasi 2.450 anni i dolorosi e profetici versi di Aristofane risuoneranno ancora sabato 27 e domenica 28 maggio al Teatro Grande di Pompei e poi il 3 giugno a Ravenna nel programma di “Ravenna Festival”. Il titolo, rispetto all’originale, è ampliato con un imperativo esclamativo internazionalmente comprensibile: Stop the war! A gridare «fermate la guerra!» stavolta sono un’ottantina di adolescenti irriducibili e “puri di cuore”, che non si fanno scoraggiare dalle ottusità dei “grandi” e credono di poter aprire gli animi. Sono gli studenti di vari licei e istituti di Pompei, Torre del Greco, Torre Annunziata e Castellammare di Stabia coinvolti anche quest’anno nel progetto triennale “Sogno di volare” dedicato al commediografo greco avviato con Uccelli nel 2022. A volerlo fortemente e a credere che «la cultura possa cambiare la vita delle persone» il direttore del Parco archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel. A riscrivere, a fare la drammaturgia e la regia di Acarnesi. Stop the war!, che si avvale delle musiche di Ambrogio Sparagna e del disegno luci di Vincent Longuemare, sempre lui, l’impareggiabile creatore di utopie teatrali, il minatore più esperto nell’estrarre pepite artistiche, con i suoi otto Premi Ubu, le innumerevoli messe in scena in dodici Paesi del mondo, i suoi trent’anni di “non scuola” con laboratori per ragazzi in Italia e all’estero, ovvero il fondatore insieme a Ermanna Montanari del ravennate Teatro delle Albe, Marco Martinelli. È lui a svelarci l’attualità e l’urgenza delle parole di Aristofane: « Mi hanno impressionato le domande che Diceopoli rivolge ai suoi concittadini ateniesi: siete sicuri che la colpa della guerra sia solo degli Spartani e che le cause non siano invece più complesse? Che non ne siamo anche noi un poco responsabili? Queste parole di 2500 anni fa suonano ancora oggi attuali, direi alla lettera». Ancora una volta, dopo Uccelli, protagonisti ragazzi del territorio. Perché? Perché Aristofane non è una statua da museo, ma un adolescente infuriato contro le ingiustizie e il malaffare. Chi meglio degli adolescenti, con le loro rabbie e i loro sogni, per mettere in vita un classico così arcaico e venerabile?.

Nel lavoro coi ragazzi c’è stato qualcosa di sorprendente?
Mi ha sorpreso che non ci sia stato bisogno di discutere se, per caso, le guerre non siano qualche volta più o meno giuste. Li ho trovati estremisti come Aristofane: la guerra è male, punto.

Nessuno di quelli che decidono le sorti della guerra ascolterà il vostro grido, perché lanciarlo?
Neanche Aristofane è mai stato ascoltato. La guerra del Peloponneso è durata trent’ anni, e lui ci è invecchiato dentro. Ma gli artisti veri sanno che non è importante che il loro grido sia utile: sanno che lo devono lanciare. A qualunque prezzo. Anche se si viene ignorati. Come il Don Chisciotte di Cervantes: non bisogna aver paura di dire la verità, consapevoli che, agli occhi della ragionevole, bellicosa maggioranza, si passerà per folli. Non è quello che sta accadendo anche a Papa Francesco?

«Quante cose mi mordono il cuore!»: è il primo verso del discorso di Diceopoli ne Gli Acarnesi di Aristofane. Quante e quali cose mordono il cuore di Marco Martinelli?
Tante. Me lo chiedi mentre la mia terra è devastata dall’alluvione, mentre contiamo i morti, i danni incalcolabili all’agricoltura, le ferite inferte allo spirito combattivo del nostro popolo. Mi morde il cuore pensare che da decenni gli scienziati e gli spiriti illuminati suonano l’allarme sullo stato dell’ambiente, sul cambiamento climatico, e la politica non fa nulla. Peggio, fa sì che la terra si avveleni sempre più. E questo avviene perché si antepongono i profitti e il consenso immediato a una visione a lungo termine, invece di lavorare per il “bene comune”, dove noi tutti si sia responsabili dei fiumi, della “sorella acqua”, delle generazioni a venire.

«Ascoltate! Se accendono le stelle, vuol dire che qualcuno ne ha bisogno!”: è un verso del poeta Majakovskij diventato un mantra in alcuni suoi allestimenti. Sono parole che evidenziano due bisogni: quello dell’ascolto e quello del cielo che però sono entrambi disattesi se si guarda ai conflitti nazionali, sociali e quotidiani che stiamo vivendo…
Sì, perché l’ascolto è l’arte più difficile. Ascoltare il cielo dentro di noi, ascoltare quel desiderio di Amore che solo ci porta alla felicità, ascoltare gli altri… Non basterebbe questo – e lo so che non è poco – per allentare la morsa della violenza?.

Se Marco Martinelli potesse parlare a quattr’occhi a chi ha il potere di interrompere la guerra cosa direbbe?
Non parlerei. Li porterei insieme ai loro cari in mezzo alle bombe, in mezzo ai corpi martoriati, alle famiglie distrutte. A un passo dal baratro. Chissà, forse comincerebbero a pensarla in modo diverso.

Cosa dire invece ai ragazzi affinché non si facciano vincere dallo scoramento e continuino a sognare di volare?
Anche qui, più che le parole, conta lo stare con loro, prenderli sul serio, non trattarli come comparse del mio spettacolo di regista, ma come co-autori del nostro rito dionisiaco. Starci con gli occhi ancora affamati di luce, nonostante i miei anni che passano. La lingua può mentire, gli occhi no». Se da qui a un anno non cambierà nulla e i conflitti continueranno a mietere vittime e a spargere morte e distruzione cosa pensa di fare? «Quello che ho sempre fatto: cercare verità, giustizia e bellezza nell’inferno quotidiano, cercare “quel che inferno non è”, per citare Italo Calvino, che citava a sua volta i Vangeli, e farlo respirare, e dargli spazio.