Agorà

La mostra. Ulisse eroe del nostro tempo

Giancarlo Papi, Forlì domenica 16 febbraio 2020

Luca Giordano “Ulisse e Calipso”

«Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ devi augurarti che la strada sia lunga,/ fertile in avventure e in esperienze./ (...) Sempre devi avere in mente Itaca/ raggiungerla sia il pensiero costante./ Soprattutto, non affrettare il viaggio;/ che duri a lungo...». Il viaggio raccontato nell’Odissea di cui parlano i versi di Konstantinos Kavafis è quello di Ulisse che durò dieci anni, quello del suo mito un’eternità. È il più evocato nella storia della cultura occidentale. Incarna l’idea stessa della conoscenza, la sete di sapere, ma anche la precarietà dell’esistenza umana e da millenni non c’è scrittore, poeta, pittore e musicista che non si sia misurato con questo mito. E ancora oggi Ulisse è più attuale che mai. Le peripezie dell’esistenza, il senso della famiglia e ancora, spietatezza e rimorso, astuzia e furbizia, sogno e realtà, armonia e caos, fortuna e disgrazia, luce e tenebre, conosciuto e ignoto, donna e sirena, mare piatto e scogli perigliosi: nel percorso esistenziale dell’eroe ateniese c’è tutta la gamma delle emozioni umane e tutte le possibili esplorazioni dell’universo. Il diabolico inventore del cavallo di Troia rappresenta anche l’emblema dell’uomo che cerca, che affronta di petto la vita là dove non riesce a evitarla o aggirarla, con le sue debolezze e ambiguità (si finge pazzo per evitare di andare alla guerra di Troia, imbroglia Aiace, inganna Filottete) e per questo è una figura lontana dall’immagine tradizionale, classica degli altri eroi.

Nell’Iliade non appare come un eroe di primo piano e nella tradizione romana è una figura non proprio positiva, così come nell’epoca medioevale è spesso astuto e vile e Dante lo colloca tra i consiglieri fraudolenti, seppure gli dedichi un canto che è sicuramente tra i più alti di tutta la Commedia. È altresì vero che da quando esiste il mito c’è sempre qualcuno che tenta di demolirlo e con Ulisse ci ha provato anche Sofocle, ma invano, perché ancora oggi la sua vicenda e la sua persona elaborate e trasfigurate nell’immaginario della cultura occidentale sono oggetto di affascinanti ricerche e approfon- dimenti. Come quello rappresentato dalla grande e ambiziosissima mostra allestita ai Musei San Domenico di Forlì (fino al 21 giugno, catalogo Silvana), curata da Fernando Mazzocca, Francesco Leone, Fabrizio Paolucci, Paola Refice sotto la direzione generale di Gianfranco Brunelli e un comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci, che racconta come l’arte abbia costantemente narrato e reinterpretato il mito di Ulisse attraverso i secoli. Lo fa disegnando un percorso espositivo costituito da sedici sezioni tematiche che mettono in fila duecentocinquanta opere, tra sculture, dipinti, arazzi, ceramiche, miniature, mosaici, risalenti a un arco temporale vastissimo che va dall’antico fino ai nostri giorni, provenienti dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private a livello internazionale.

Per segnare idealmente l’incipit del percorso espositivo è si è puntato sull’eccezionale ritrovamento della nave greca di Gela, databile tra il VI e V secolo a.C., tra le più antiche del mondo, che per la prima volta viene esposta al pubblico nelle sue parti essenziali che si riflettono nel mare a specchio allestito nella Chiesa di San Giacomo, attigua e comunicante con il complesso museale. All’età arcaica risalgono i rarissimi reperti archeologici (vasi, oggetti, utensili) che dell’Odissea raccontano gli episodi di Polifemo, di Circe e delle Sirene cui in età classica, che privilegia la pittura vascolare, si aggiungono le figure di Tiresia, Atena, Nausicaa, Penelope. Altri personaggi ed episodi compaiono nell’ellenismo, come l’incontro con il cane Argo e l’abbraccio tra Ulisse e Penelope, mentre quello tra Ulisse e Laerte è illustrato in età romana. Ogni epoca ha dato letture diverse dell’Odissea attraversando anche periodi di oblio. Sarà Dante a dare una nuova e diversa centralità a Ulisse che, secondo Brunelli, non è più spinto dalla nostalgia del ritorno, né, come l’Enea virgiliano, è mosso da una missione, ma è un viandante, spinto dall’ardore «a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore», si lancia «per altro mare aperto», verso un «folle volo».

Con il Rinascimento, in una sintesi tra valori formali e valori morali, la figura di Ulisse acquisisce una ulteriore definizione. Affascinano le figure femminili, che vediamo nei dipinti del Parmigianino, e in particolare Penelope, custode delle virtù domestiche, così come l’ha dipinta Beccafumi e oltre due secoli dopo, annoiata e triste al telaio, Angelica Kauffmann. Il Seicento, che Paolucci definisce «il secolo delle umane passioni », vede come protagonisti Rubens, Guercino, Jordaens, che affrontano il tema dei moti dell’animo e ci offrono un Ulisse «già moderno». Ma sarà, dopo l’età del Classico e le idealizzazioni di Canova, Mengs, Füssli che, con l’Ottocento e soprattutto con il Romanticismo (Hayez, Waterhouse, Cazin), Ulisse entra nel tempo presente. Prototipo dell’uomo contemporaneo, inquieto, alienato, irrimediabilmente diviso nel proprio io, Ulisse è metafora dell’esistenza umana, «nella quale – precisa Brunelli – anche la più ottimistica visione del mondo non è mai separata dal malinconico rimpianto per il destino di declino e morte connaturato all’uomo». Così come, nel Novecento, lo hanno immaginato Giorgio de Chirico e Arturo Martini.