Agorà

LAZIO. Tuscia: terra senza tempo

Roberto I. Zanini venerdì 6 maggio 2011
Il 14 maggio è ormai alle porte, ma ci si può ancora organizzare per una gita sul Lago di Bolsena. In quella data, infatti, da secoli, una delle più suggestive feste popolari della Penisola. Si tratta della Festa delle passate di Marta, detta anche Barabbata che si tiene in occasione della ricorrenza del locale santuario della Madonna del Monte. Una sorta di festa della primavera, che affonda le radici in riti pagani propiziatori e che viene preparata per mesi da tutto il paese. Si comincia prima dell’alba con tutti gli uomini, giovani e bambini compresi, che, fra scoppi di mortaretti, suoni di tamburi e campane a distesa, escono da ogni casa e in corteo gridano in tutte le strade le quattro tradizionali invocazioni alla Madonna del Monte, al Santissimo Sacramento, a Gesù e Maria; si chiude al tramonto, con giochi pirotecnici sul lago. Nel corso della mattina sfila per il paese con carri, buoi, asini e cavalli, un corteo composto dai rappresentanti di quattro codificate corporazioni professionali: i Casenghi, cioè gli uomini di fiducia dei proprietari delle terre; i Bifolchi, coloro che aravano la terra; i Villani, gli agricoltori veri e propri; i Pescatori. Dalle finestre le donne gettano il maggio, fiori e petali multicolori. L’appuntamento è al santuario dove, dopo la messa, si effettuano le "Passate", con i componenti delle corporazioni che passano tre volte insieme agli animali, portando i loro doni all’altare. Una volta la cerimonia avveniva all’offertorio e spesso ha fatto gridare alla profanazione (è stata anche proibita), perché nell’occasione si scaricavano tutte le tensioni sociali, gli uomini entravano in chiesa a cavallo fra urla e musiche popolari, scagliando in malo modo i prodotti del loro lavoro. Ancora oggi Marta, così come gli altri borghi della Tuscia, conserva tutte le caratteristiche di un tempo. Grazioso paese di pescatori si stende sul lago e nelle brumose mattine di fine autunno quasi ne emerge in un paesaggio d’incanto. Il lago, il più grande bacino vulcanico d’Italia, è tutto da scoprire. Le sue acque sono limpide, balneabili. Ognuno dei tre paesi che si affacciano sulle sponde è ricchissimo di storia. La medievale Capodimonte, sul suo sperone di roccia, domina un po’ più dall’alto. Sull’altro lato c’è Bolsena, col suo castello e la famosa chiesa di Santa Cristina. Qui, fra il 1263 e il 1264, avvenne il miracolo del sangue scaturito dall’ostia al momento della consacrazione. Sulla sua veridicità vennero chiamati a discutere due grandi dell’epoca come San Tommaso e San Bonaventura. Le reliquie di quel fatto prodigioso si conservano ancora, in parte nella chiesa di Bolsena, in parte nel duomo della vicina Orvieto. Sotto Santa Cristina vanno assolutamente visitate le catacombe e i reperti degli eventi prodigiosi legati al martirio della giovanissima Cristina, messa a porte da suo padre, ai tempi dell’imperatore Diocleziano, perché rifiutava di rinnegare la conversione al cristianesimo. I supplizi subiti, dai quali ripetutamente la ragazza usciva indenne, vengono ricordati ogni anno a Bolsena nei giorni che precedono il 24 luglio, festa canonica, con la rappresentazione dei cosiddetti "Misteri di Santa Cristina", organizzata nelle piazze. Il lago è ornato da due suggestive isole, la Martana e la Bisentina. Solo quest’ultima è visitabile se non si ha a disposizione un’imbarcazione privata. Dopo aver mangiato in riva al lago (ma si può anche privilegiare un ristorante di Montefiascone, patria del celeberrimo vino Est Est Est) non si può fare a meno di deviare dalla Cassia per recarsi a Bagnoregio. Per ogni visitatore nuovo di questi luoghi, qui si rinnova ogni volta il miracolo della Civita, la città che muore, patria di San Bonaventura. Il vederla comparire all’improvviso dalla stretta strada che le si avvicina, appollaiata su un cocuzzolo, in mezzo a una valle dal paesaggio lunare, è immagine che non si dimentica più. Per accedervi bisogna percorrere un lungo ponte pedonale in ripida salita. E quando si arriva dall’altra parte, si piomba in una dimensione nuova, senza automobili, fra vicoli silenziosi, case medievali, in parte abbandonate, piazzette polverose. I residenti di questo luogo unico al mondo sono pochissimi, anche se alcune delle case più belle sono state acquistate, restaurate e occasionalmente abitate da alcuni vip in vena di snobberie e in cerca di tranquillità. La città è la stessa dei tempi di Bonaventura. Da ogni lato si dominano i brulli e solitari calanchi della valle che la circonda. Si notano, in lontananza, anche le cave di un particolare basalto, che Leon Battista Alberti considerava «la pietra fra le pietre». E quando verso sera riattraverserete il ponte per tornare nel mondo civilizzato, vi ripugnerà un poco estrarre dalle tasche le chiavi della vostra automobile.