Agorà

Inedito. Una conversazione del 1986. TUROLDO. Il Natale e l'infinito della poesia

Pasquale Maffeo martedì 22 dicembre 2015
Quando morì David Maria Turoldo (nel 1992, era nato nel 1916), in una commemorazione quasi notturna, la televisione italiana che lo aveva avuto ospite e collaboratore mandò in onda un documentario- intervista nel quale egli parlava di sé leggendo ciò che io avevo scritto sei anni prima in un saggio sulla sua poesia intitolato Turoldo o la consolazione della morte. Il pieno consenso al mio intervento critico aveva aperto un canale di intelligenza spirituale tra me e l’insonne frate servo di Maria. Attraverso quel canale mi giunsero gli accenti della sua voce profetica suscitati da mie domande intorno al mistero, alle verità, all’attualità senza tempo e perciò di ogni tempo del Natale del Signore. Strano che paia - oggi non saprei dire perché -, le tre pagine che mi inviò per posta, battute a macchina e sigillate dalla firma autografa, erano rimaste inedite. Le ho ripescate a caso riordinando vecchie carte in un bustone che conserva lettere ricevute da scrittori autorevolmente consacrati tra i maggiori del nostro Novecento. Sarà utile richiamare qui una preliminare peculiarità che connota la scrittura di Turoldo non meno di quella di altri autori cristiani e cattolici, questa: non c’è 'letterarietà' nelle pagine che si arroventano al fuoco di Dio. Bisogna dunque ricordarsi di non leggerle, per non restare al buio, come esito di ricerca stilistica o come esibizione di bravura formale. La loro pronuncia trascende canoni estetici e di poetica, si converte in substantia di colloquio e comunione con l’Assoluto oltre le sfere della conoscenza sensibile. Tanto premesso, ascoltiamo il nostro Turoldo. Che cosa è il Natale? «Davanti a una simile domanda non so se vergognarmi o ridere. Così, a primo impulso. E invece, Lei ha ragione: c’è proprio da domandarsi cos’è il Natale; e se perfino noi cristiani sappiamo cosa sia veramente il Natale. Soprattutto, cosa abbia a che fare con il vero Natale di Cristo questo nostro modo di celebrarlo: in queste città impazzite per commerci e traffici; e scialo di luminarie, e ostentazioni di ricchezze, eccetera, c’è da domandarci sul serio cosa significhi per noi Natale: se si può ancora pensare che da noi Cristo continui realmente a nascere, a prendere corpo in una società come la nostra. Ecco, a pensare propriamente a questo mi porta la sua domanda». Pertanto come è da accogliere il Natale di quest’anno? «E però al di là del dubbio e del contrasto, al di là del sospetto che siamo davvero su vie sbagliate, al di là di ogni mercato, sopravviva almeno la nostalgia che la vita è un dono. Perché questo è il significato profondo del Natale: il dono del Padre a questi figli disperati e soli che siamo noi; il dono di un figlio e di un fratello che ci salvi dalla disperazione e dalla solitudine. E che ritorni ad apparire qualche segno di maggiore umanità nei nostri rapporti, in queste nostre città sempre più 'senza Dio'. (Non dico atee, dico 'senza Dio' che è molto diverso: se non altro per quel tanto di drammatico che c’è solitamente nell’ateo; invece 'senza Dio' dice soprattutto indifferenza, noncuranza, non-pensiero, quando non dica addirittura cinismo)». Ha scritto qualcosa per il Natale prima d’ora? «Se ho mai scritto qualcosa per Natale? Sì, ho scritto anche troppo e spesso male. E anzi è per questo che continuo a scrivere: con l’augurio sempre di porci rimedio. E magari non faccio che peggiorare. Come quando si ricade nel solito vizio. Mi giustifica la speranza che sia sempre un nuovo Natale: che finalmente la Parola prenda carne, e cioè si realizzi nella vita quotidiana, in questo mio divenire tumultuoso e caotico, e mi salvi da una esistenza insensata e banale. Perché Natale o è incarnazione del verbo di Dio nella nostra realtà individuale e storica, o non è Natale. Naturalmente concedendo quanto di dovere alla nostra miseria: pronti a comprendere, certo, ma non a desistere di fronte alla pazienza di Dio che tuttavia viene, che non cessa di venire…». Gesù è perennemente contemporaneo dell’uomo? «È a questa attualizzazione e contemporaneità di Dio nella storia dell’uomo che siamo chiamati, se non altro per aprirci, comunque a rispondere. Perché è certo che egli viene, ma dove e in chi viene? Certo che viene per tutti, ma non è detto che tutti lo incontrino». Abbiamo qualche memorabile Natale in letteratura? «Un Natale in letteratura? Invece di perdermi in altri ricordi, voglio limitarmi a un richiamo: che tutti pensino come il Natale di Cristo sia annunciato dalla stessa Madre con il suo 'Magnificat', il quale è un canto al vero 'Infinito' e segna la vera rivoluzione nella storia: il canto che io chiamo dei 'dieci verbi', a indicare l’irrompere di Dio nel mondo». Quali sono i dieci verbi? «Dio che ha guardato all’umiltà della sua serva; che ha fatto grandi cose in lei, l’Onnipotente; e poi ha spiegato la potenza del suo braccio; e ha disperso perfino i pensieri dei superbi; ha rovesciato i potenti dai troni; ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati; ha rimandato a mani vuote i ricchi; ha soccorso Israele suo servo; si è ricordato della sua misericordia! Dieci verbi, dieci imprese: il poema della madre che già lo porta in seno. Per dire che colui che concepisce Cristo non può non mettersi a cantare; e celebrare davanti al mondo cosa significhi la sua venuta. Che se non significa questo, vuol dire che non è venuto, che ancora non ha preso carne. Ed è inutile perfino che gli angeli si mettano a cantare… ». In questo finale di gloria spalancato sull’eternità è il Turoldo che per noi vicini e per tutti i viventi lontani canta il Natale.