Agorà

La politologa. Turnaoglu: con Erdogan la Turchia davanti a un bivio

Silvia Guzzetti sabato 3 giugno 2017

Banu Turnaoglu, docente di Politica internazionale all’Università di Cambridge e autrice di The formation of Turkish republicanism ( La formazione del repubblicanesimo turco), pubblicato dalla Princeton University Press, è appena ritornata da Istanbul dove ha partecipato al referendum che ha concentrato il potere nelle mani di Recep Tayyp Erdogan e del suo partito, l’Akp, con metodi di propaganda e di scrutinio dei voti poco democratici. La battaglia perché il suo Paese riesca a preservare la libertà e a mantenere al potere il popolo la conduce attraverso i suoi studi. «Considero il mio lavoro di storica del pensiero, che guarda come le idee si sviluppano nel tempo e nello spazio e l’impatto che hanno sul presente, come un’attività politica e penso che sia mio dovere mostrare alle persone nuove opportunità anche se ci vuole tempo per renderle concrete», spiega. «Il mio libro, la prima storia completa del concetto di repubblica a partire dall’impero ottomano, mostra la via per il futuro, se la Turchia vuole assicurarsi la democrazia e un buon rapporto con l’Occidente», spiega la docente di Cambridge. «Ormai la politica turca è divisa da due ideologie, il kemalismo, che è la forma di repubblicanesimo radicale che venne promossa da Mustafa Kemal Atatürk nel 1923, quando proibì pratiche islamiche come il velo, e l’islamismo tornato in auge negli ultimi anni. I turchi sono piuttosto pessimisti, rispetto al loro futuro, in questo momento, e pensano che una sconfitta della democrazia sia quasi certa perché il kemalismo è in declino e non è facile sfidare l’ideologia dominante, l’islamismo nazionalista. Io penso, al contrario, che un senso di speranza si possa ritrovare nella nostra storia, che ci racconta una tradizione liberale e repubblicana piuttosto forte, in grado di rispondere alle sfide del presente».

Quali sono le fonti di questa tradizione che può rappresentare una via di uscita dalle difficoltà di oggi?

«Penso che dovremmo leggere con più attenzione pensatori liberali repubblicani del diciannovesimo e ventesimo secolo come Namik Kemal, Hüseyin Cahit e Velid Ebüzziyad e imparare dalle loro idee, soprattutto il concetto di costruzione di una comunità libera e secolare dove vi siano legami sociali forti. Certo, il passato è diverso dal presente ma credo che questi intellettuali ci possano insegnare che la democrazia vuol dire, oltre che governo della maggioranza, valori, un dialogo migliore tra gruppi diversi oltre che, naturalmente, separazione dei poteri e un forte parlamento. È dovere dei cittadini turchi essere cittadini più impegnati e, di recente, la consapevolezza sociale è aumentata e si è manifestata nella formazione di società civili».

Nel suo libro lei mostra come il kemalismo abbia riscritto la storia turca presentando il repubblicanesimo come inevitabile mentre esistevano altre visioni importanti della storia. Quali erano?

«I kemalisti hanno riscritto la storia dalla loro prospettiva dipingendo la loro versione di repubblicanesimo come l’unica possibile. In realtà esistevano alternative. Nel 1860, per la prima volta, si cominciò a pensare che la pa- rola “repubblica” potesse trasformare la vita collettiva ed emersero tre diverse concezioni di questa idea. Quella islamica, che credeva che la sovranità assoluta appartenesse a Dio e lo Stato dovesse essere guidato dal califfo e seguire la sharia. Quella liberale repubblicana, che si ispirava a Montesquieu e proponeva una rigida separazione dei poteri e la difesa delle libertà individuali. Ispirò la prima costituzione ottomana scritta del 1876 e il primo parlamento portando i Giovani Turchi al potere. Infine il repubblicanesimo radicale, che proponeva la sovranità popolare attraverso la rivoluzione e che ispirò Mustafa Kemal Atatürk a proporre una nazione omogenea e secolarizzata di turchi. Gli anni formativi della repubblica assistettero alla battaglia tra queste tre concezioni repubblicane che tentavano tutte e tre di monopolizzare la nuova ideologia di stato. Alla fine il repubblicanesimo radicale e popolare dei kemalisti prevalse, con la forza e la repressione, sconfiggendo sia quello islamico, con l’abolizione del califfato, sia quello liberale».

La Turchia sta attraversando un momento difficile e si trova ad affrontare diversi problemi: la questione curda, l’instabilità democratica, la crescita dell’Islam radicale e il nazionalismo turco. Può spiegarci perché il kemalismo è all’origine di queste tensioni e se riesce a vedere una via d’uscita?

«Non penso sia corretto dire che soltanto il kemalismo è la causa di queste tensioni che hanno origine nell’antitesi tra l’ideologia di Ataturk e islamismo e liberalismo. Il kemalismo rimase, nel corso della sua storia, un’ideologia poco elastica ed esclusiva che spinse ai margini l’islamismo e il liberalismo ed è stata proprio l’ascesa dell’Islam politico, negli anni Ottanta, a sfidare l’incapacità del kemalismo di accomodare le esigenze di gruppi più religiosi e conservatori. Il successo dell’Akp, il partito islamico di Erdogan, dopo un periodo di declino economico e di governi instabili, negli anni Novanta, ha minacciato seriamente il kemalismo e, col risultato del recente referendum, il divario tra l’islamismo conservatore e la tradizione che si rifà a Kemal Atatürk non ha fatto che approfondirsi».

La Turchia è sempre stato un ponte importante tra l’occidente e l’Islam e un alleato chiave nella Nato. Ma, con la minaccia di Erdogan di reintrodurre la pena di morte e la decisione dell’Unione Europea di monitorare il Paese sulla questione dei diritti umani, l’ingresso del vostro Paese nella Ue si allontana.

«Erdogan ha detto che la Turchia riconsidererà i propri rapporti con l’Unione Europea, dopo che quest’ultima ha deciso di monitorare il trattamento dei diritti umani, e ha detto che potrebbe indire un referendum sulla richiesta del nostro Paese di far parte dell’Unione Europea perché non vuole aspettare ancora per anni alle porte della Ue. Insomma, la Turchia sembra pronta ad abbandonare il sogno di entrare in Europa che ha inseguito per 400 anni. Una svolta di importanza critica se consideriamo che l’unica altra opzione è di guardare a Oriente, dove non abbiamo forti alleati, e che la Turchia rischia di avviarsi sulla strada di un ulteriore isolazionismo e nazionalismo ».