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Linguaggio. La Treccani "al femminile" e senza "vocabolariese": ecco tutte le novità

Eugenio Giannetta, Pordenone venerdì 16 settembre 2022

La presentazione del nuovo vocabolario Treccani: Valeria Della Valle e Giuseppe Patota

Questa mattina a Pordenonelegge l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani ha presentato in anteprima, con i direttori dell’opera Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, l’ultima edizione del vocabolario Treccani. Il nuovo dizionario si colloca nella grande tradizione Treccani, ma è al tempo stesso anche un’edizione rinnovata e caratterizzata non solo da qualche aggiornamento ma da cambiamenti consistenti: il nuovo dizionario si collega infatti all’uso reale della lingua, alla sua grammatica più funzionale, alle parole della comunicazione, ed è attento a eliminare gli stereotipi di genere e la necessità di ricorrere al vocabolario per capire ciò che si sta leggendo.

Il primo punto consiste nell’abbandono del cosiddetto vocabolariese, ovvero quel linguaggio che Della Valle definisce «criptico e poco amichevole», mentre questo è un vocabolario «che non mette in soggezione». Sono inoltre state ridotte le abbreviazioni: «Abbiamo fatto un lavoro di sfoltimento, perché spesso ci siamo resi conto che le abbreviazioni andrebbero analizzate sulle singole casistiche», spiega ancora Della Valle. Sono poi state eliminate le forme di cortocircuito lessicografico, cioè quel «meccanismo per cui un lettore o una lettrice cerca una parola, ma nella definizione trova una parola che non è chiara, perciò è costretto a cercare un’altra parola», dice Patota, che prosegue: «Abbiamo dato definizioni rigorose ma semplici di tutte le parole, comprese quelle di ambito tecnico scientifico, impegnandoci a rispettare il diritto di chi consulta il vocabolario, che è quello di chiarirsi le idee. Il vero problema di un vocabolario – aggiunge Patota – non è cosa mettere, ma cosa togliere; con le voci tecniche si può arrivare milioni di voci e abbiamo cercato di conservare parole di varie discipline».

Sono poi state inserite delle voci con alcuni dei dubbi più frequenti: ad esempio, si può dire latte al plurale?

Tra le altre innovazioni, sono stati eliminati alcuni toscanismi, regionalismi e forme letterarie che non si utilizzano più e grande spazio è stato dato alla grammatica. Sono state infatti riscritte tutte le voci grammaticali, a memoria del fatto che la norma è mutevole e in costante discussione ed evoluzione. «Abbiamo – continua Della Valle – eliminato le parole fantasma (salvo quelle utilizzate anche solo una volta da grandi autori come Dante, Leopardi, Petrarca) che nessuno ha mai pronunciato. Infine, non abbiamo inseguito le mode rispetto a parole nuove, ma abbiamo inserito le parole in uso durante la pandemia, come Covid, lockdown, smartworking».

La novità più importante che connota questo vocabolario, però, la rappresenta il fatto che quello di Treccani sarà il primo vocabolario in Italia a inserire le forme femminili di nomi e aggettivi insieme a quelle maschili (in ordine alfabetico). Un cambiamento significativo cui segue anche l’eliminazione degli stereotipi di genere nelle definizioni e negli esempi, promuovendo la parità a partire dalla lingua: «Questo cambiamento – spiega Patota – ha a che fare con la storia linguistica e culturale, e speriamo altri seguano l’esempio e si apra una riflessione sul perché le cose sono sempre andate in questo modo. Quando sentiamo dire che medica o sindaca non suonano bene dobbiamo chiederci perché. La risposta è che non siamo abituati a sentire quelle parole, ma se ci abituassimo, se fossimo spinti a lavorare in questa direzione, queste forme non susciterebbero più meraviglia».

Il cambiamento ha suscitato clamore mediatico, ma «non è un cambiamento rivoluzionario – dice Della Valle – noi abbiamo solo cercato di ristabilire un equilibrio tra i generi, con passione e con una speranza, che anche tra molti anni le ragazze che avranno un mestiere e un ruolo nella società, quando sentiranno qualche obiezione sul termine che indicherà il loro ruolo, con l’appoggio del nostro lavoro potranno dire che lo dice la Treccani. La scelta di farlo nasce da una convinzione e da una constatazione storica secondo la quale un genere era dominante solo in base a una convenzione. Le parole – conclude – non sono superflue, le parole sono pietre, sono importanti, e quello che conta è la realtà, ma conta anche la lingua con cui si esprime la realtà e con cui ci si esprime; il nostro è perciò un tentativo di rendere la lingua inclusiva e non offensiva, attribuendo una dignità linguistica sempre rispettosa di tutte le differenze».