Agorà

INTERVISTA. Touraine: la finanza può travolgere l'Europa

Roberto I. Zanini giovedì 14 marzo 2013
​Poiché «l’individuo non si misura in dollari, bisogna mettere fine al dominio dell’economia sulla società. La crisi è il risultato della rottura, imposta da chi gestisce la finanza mondiale, fra i loro interessi e quelli dei cittadini». Alain Touraine è a Roma per un ciclo di conferenze alla facoltà di Sociologia della Sapienza. È arrivato da Parigi ieri pomeriggio e si è subito buttato nella bolgia di un’aula universitaria piena di studenti e di professori accorsi per ascoltare uno dei più grandi sociologi viventi. Oggi e domani sono previsti altri quattro incontri. L’occasione formale è la presentazione del suo ultimo libro, Dopo la crisi. Una nuova società possibile uscito in Italia per l’editore Armando (pp 192, euro 18), che non solo è un’analisi sociologica, quasi antropologica, della crisi economica, ma è anche il tentativo di proporre soluzioni che svincolino definitivamente la società e la politica dai diktat dell’economia. Touraine ha 88 anni, è una celebrità accademica, ma si muove fra i ragazzi alla stregua di un qualunque altro dei loro molto più giovani professori. Gli parliamo poco prima della conferenza appena sceso dall’aereo, davanti a un romanissimo "cappuccino e cornetto", in sostituzione del perduto pasto di mezza giornata. Nel libro disegna un’Europa che rischia d’essere travolta dalla crisi economica. Per lui il problema non è tanto economico, ma sociale. La sua ricetta è la costruzione di una società nuova, emancipata da questo rincorrersi malato di dati economico-finanziari e centrata su «un nuovo umanesimo, che pone al centro l’individuo con i suoi diritti, le sue aggregazioni, rispettose le une delle altre, trattato dall’universo economico come una risorsa, non più come una merce o una macchina». E come nel libro, anche a voce per lui non ci sono dubbi: «Restando così le cose la catastrofe è l’evento più probabile. Perché attualmente la società e la politica non sono in grado di produrre attori capaci di gestire il cambiamento. E quando parlo di attori mi riferisco a organizzazioni sociali, partiti politici, l’insieme degli intellettuali. E il caso italiano è emblematico di questa situazione, col suo debito pubblico, con la sua forte accentuazione dei problemi legati allo spread». E finora, secondo lui, sono state adottate le cure sbagliate. «Da quando in Europa si è affacciato il liberismo, le crisi si sono succedute le une alle altre e nei fatti gli unici interventi messi in campo sono stati finanziari, con rinnovate distribuzioni di soldi alle banche. Allo stesso modo la crisi attuale non è gestita dalla politica, ma dalla Banca centrale europea, che si muove con le stesse logiche. Questo è un paradosso, oltre che la conferma dell’inconsistenza della politica, sia in ambiente conservatore che in quello socialdemocratico, con la sinistra completamente spiazzata dagli eventi attuali, in particolare dal processo di destrutturazione della società industriale. Le nostre istituzioni non hanno la capacità di affrontare e risolvere né i problemi economici, né le urgenze dell’ecologia. Nei fatti gli essenziali legami fra la politica, l’economia e la società sono stati spezzati dalla globalizzazione della finanza, sulla quale nessuno riesce più a esercitare il controllo. Il rischio vero è nel riproporsi di derive autoritarie», come quelle generate dalla crisi economica e sociale che ha sconvolto l’Occidente dopo la prima guerra mondiale. E quando parla di destrutturazione della società industriale, Touraine si riferisce all’incapacità del capitalismo industriale di far fronte, oggi come allora, agli imperativi della crisi, anche a causa del progressivo disimpegno del settore pubblico dall’industria. Attenzione, però, spiega il sociologo, «non si può pensare di fare un salto indietro nel tempo e di risolvere il problema riproponendo ricette economiche antiche, perché la conseguenza sarebbe il ripetersi di nuove crisi sempre più gravi. L’unica soluzione possibile nasce dalla contrapposizione del tema morale al tema economico». In sostanza bisogna ricostruire una società «in cui i padroni dell’economia siano obbligati dallo Stato a tener conto degli interessi degli individui, che vogliono essere rispettati, non continuare a subire e essere umiliati». Intanto, per evitare il rischio immediato di catastrofe, con derive autoritarie e violente, «bisogna rilanciare il capitalismo industriale, seppure in termini nuovi, per ridare vitalità alle realtà sociali esistenti. Contemporaneamente bisogna porre le basi di una società nuova, fondata sui principi etici universali che sono contenuti nella Carta dei diritti dell’uomo. La lotta per l’affermazione sociale di questi diritti deve fronteggiare il predominio del capitale finanziario, che è fondato su logiche speculative contrarie a ogni diritto, ribadendo che è la democrazia, che trasforma gli individui in cittadini responsabili, la condizione prima del rilancio economico e sociale».