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ANNIVERSARI. Tour Eiffel, 120 anni e una salute di ferro

Nicoletta Martinelli lunedì 30 marzo 2009
Era stata costruita per essere demolita in pochi anni. E invece la «vecchia signora», così i parigini chiamano con affetto la loro Torre Eiffel, è ancora in piedi, pronta a spegnere 120 candeline il 31 marzo. Poiché doveva durare giusto il tempo necessario a celebrare l’Esposizione Universale del 1889 e a festeggiare il primo centenario della Rivoluzione Francese, fu progettata per ottenere il massimo stupore con il minimo dispendio di denaro. E cosa c’era di meglio del ferro per realizzare la torre più alta mai stata costruita fino ad allora – 324 metri – che apparisse come una vertigine di ingranaggi e aria? In effetti, non era un’architettura che avesse un’utilità pratica, per questo il suo progettista diede libero sfogo alla sua fantasia. L’impressione che se ne ebbe fu di un’enorme «impalcatura sbagliata», fatta con diecimila tonnellate di ferro e due milioni e mezzo di bulloni. Le accese critiche che si scatenarono intorno alla costruzione funzionarono da cassa di risonanza: i visitatori arrivarono a frotte, tanto che in un solo anno ben il 75% dell’investimento era già stato ripagato grazie al costo dei biglietti d’ingresso. Ed è andata sempre meglio, dal momento che con quasi sette milioni di presenze ogni anno, è il monumento più visitato al mondo. Ed evidentemente uno dei più amati. Non ci si stupisca che da un sondaggio europeo sia risultato che è la Torre Eiffel «l’opera dell’uomo che simboleggia meglio l’Europa». Anche gli italiani l’hanno preferita alla Torre di Pisa. Gustave, vulcanico ingegnere. «Il mago del ferro». Così è stato soprannominato l’ingegnere e inventore Gustave Eiffel, il padre della Torre che oggi porta il suo nome. Quando partecipò al concorso bandito per un monumento destinato a celebrare nel 1889 il primo centenario della Rivoluzione francese, sbaragliò più di settecento concorrenti con il progetto delle torre alta 300 metri. L’ottima reputazione di Monsier Eiffel, allora poco più che cinquantenne, era legata a costruzioni audaci e d’avanguardia, in cui aveva applicato soluzioni tecniche innovative, all’apparenza persino azzardate. Famoso il sistema messo in atto nel ponte ferroviario sul fiume Douro (in Portogallo): un’arcata centrale completamente in ferro di 160 metri che scavalcava il fiume senza appoggiarsi su piloni intermedi. Il progetto fu accettato solo perché costava poco, poi si rivelò un modello d’ingegneria. Eiffel ha lasciato traccia della sua inventiva praticamente in mezzo mondo. Decine i ponti e i viadotti da lui realizzati in Francia, Europa, Africa e Estremo Oriente. Nel suo carnet figurano anche la cupola dell’osservatorio astronomico di Nizza, la stazione ferroviaria di Budapest e alcune chiese nelle Filippine e in Sudamerica. Senza di lui non starebbe in piedi neanche un altro dei monumenti più celebri mai realizzati, questa volta negli Stati Uniti: la Statua della Libertà. L’armatura metallica e le intelaiature che sorreggono la scultura di Frédéric-Auguste Bartholdi non potevano che essere opera del «mago del ferro». Il tempo degli insulti. Non solo lodi, onori e apprezzamenti. Al contrario, la «dama di ferro» si attirò da subito insulti e reazioni ostili, soprattutto da parte di artisti e intellettuali. Un po’ come avviene oggi con i grandi progetti d’architettura. L’opposizione, contro quella che allora era chiamata soltanto la Torre di 300 metri, fu fortissima. Molti sostenevano che fosse inutile e mostruosa e che sembrava una gigantesca ciminiera di una fabbrica calata nel centro di Parigi a rovinare il suo panorama fatto di nobili palazzi e chiese gotiche. Lo scrittore Guy de Maupassant la definì «l’inutile ferraglia arrugginita» e il suo collega Alexandre Dumas senza mezze misure scrisse che era un «mostro». Per il poeta Paul Verlain lo «scheletro di torre» era perfino un «orrore», mentre il romanziere Léon Bloy utilizzò una definizione più originale, quella di «lampadario assolutamente tragico». Un folto gruppo di artisti aveva cercato di correre ai ripari quando la Torre era ancora in costruzione, firmando un manifesto di protesta. Questo cadde nel vuoto, la costruzione si concluse in tempi record: due anni, due mesi e cinque giorni.Rivoluzione e souvenir. Chi visita Parigi difficilmente resiste alla tentazione di portarsi a casa il simbolo per eccellenza della Ville Lumière, la Torre Eiffel. Una miniatura in gesso o in ferro. Oppure una sua immagine, che sia una stampa, un acquerello o una foto. Anche gli altri Stati hanno voluto portare nella propria terra parte del fascino del monumento più visitato al mondo: riproduzioni della Tour Eiffel più o meno a grandezza naturale svettano in tanti Paesi. Ce n’è una a Las Vegas, nel deserto del Nevada, che è nell’aspetto del tutto identica a quella originale, seppure alta circa la metà (150 metri) e tante altre disseminate in diverse località degli Stati Uniti, ma di dimensioni più ridotte. Quella clonata a Tokio è stata dipinta d’arancione. In Cina ne hanno addirittura un paio, una a Tianducheng (alta 108 metri) e l’altra a Shenzhen (100 metri). Non sono stati dimenticati i più piccoli, la Lego nel 2007 ha prodotto un gioco con 3.428 mattoncini che messi insieme compongono una Torre Eiffel di plastica, alta un metro. Venduta al miglior offerente. Nella storia del cinema è rimasta celebre la scena in cui Totò riesce a raggirare un ignaro turista vendendogli la Fontana di Trevi. Ma pochi sanno che a ispirare questo film sia stata una truffa vera, messa in atto da Victor Lustig, conosciuto come «l’uomo che vendette la Torre Eiffel». Era il 1925, la stampa denunciava lo stato di abbandono della Torre, che aveva bisogno di interventi di manutenzione. E visto che era nata con l’intento di durare giusto il tempo dell’Esposizione universale, il signor Lustig ebbe gioco facile a far credere che il governo francese stesse per smantellarla. Si finse un funzionario dello Stato incaricato di vendere a pezzi il ferro di cui era fatta, e cominciò a incontrare alcuni imprenditori interessati all’affare. Il trafficante di ferro André Poisson credette ciecamente alle invenzioni di quel genio della truffa, comprovate tra l’altro da alcuni documenti, falsi anche quelli. Poisson, quando scoprì di essere caduto in un tranello, ebbe una tale vergogna da non denunciare Lustig, che scappò a Vienna con una valigia piena di soldi.